Nella prima parte del suo primo film dopo la scomparsa del fratello Vittorio, Paolo Taviani racconta in modo toccante la rocambolesca avventura delle ceneri di Pirandello e il movimentato viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. Il regista apre il film con gli uomini in divisa che dichiarano che il poeta deve ricevere un funerale fascista, ma lo stesso Pirandello ha lasciato istruzioni di non volere cerimonie e di far cremare il suo corpo e gettare le ceneri nel mare di Sicilia. La seconda parte del film segue le vicende di un ragazzo siciliano che uccide una ragazza a New York.
“L’idea del film risale a quando abbiamo completato Kaos: il racconto delle “ceneri di Pirandello” avrebbe potuto concludere il film”, precisa Taviani. “Non era una novella di Pirandello, ma la storia ci fece comprendere come sarebbe stato possibile fare una novella nostra che nascesse dallo stesso humus dei racconti pirandelliani”.
I dieci tragici anni che intercorrono tra la morte di Pirandello e la prima riesumazione delle ceneri
sono sintetizzati da materiale di repertorio e film del neorealismo che raccontano il ventennio e la guerra. “Alcune cose sono vere, altre sono inventate, è un po’ una miscela, ed è anche una grande confusione, molto simile a quello che stiamo vivendo a causa di questa pandemia”, ha detto il regista.
Il passaggio dal bianco e nero dell’epoca al colore ci catapulta nel secondo racconto del film: un adattamento di una storia di Pirandello intitolata Il chiodo , su un ragazzo italiano costretto a emigrare a New York che inspiegabilmente uccide una bambina, dopo di che giura di visitare la tomba della ragazza ogni anno una volta che esce di prigione. Pirandello scrive questo racconto e non sa che saranno gli ultimi giorni della sua vita. “E’ una storia triste in generale. Di solito alla conclusione dei suoi racconti anche le cose più tragiche si salvano nel sarcasmo e nell’ironia, in questo no. Pirandello muore con una visione molto più tragica di tutti i finali delle sue opere”. Emerge la crisi esistenziale dell’uomo moderno, la sua solitudine e la follia umana.
Leonora addio vincitore del premio Fipresci a Berlino e in sala dal 16 febbraio compone due racconti che nelle intenzioni del regista vogliono ricordare agli spettatori che “la vita è teatro e ognuno di noi è costretto a indossare una maschera per nascondere le menzogne e le contraddizioni del vivere.