La regista bosniaca Jasmila Žbanić, nota soprattutto per l’esordio “Grbavica – Il segreto di Esma” (2006), aveva 21 anni e viveva a Sarajevo all’epoca del massacro di Srebrenica del luglio 1995. Pochi giorni prima dei rastrellamenti delle forze serbo bosniache nei confronti della popolazione locale di religione musulmana , centinaia di persone cercarono rifugio presso la base dei caschi blu olandesi. Ma i soldati europei riconsegnarono i fuggitivi ai carnefici dell’esercito serbo. Furono giustiziati circa 8.000 uomini e ragazzi bosniaci.
Il film , “Quo Vadis, Aida?”, presentato in prima mondiale in concorso lo scorso anno alla 77° Mostra del cinema di Venezia e candidato all’Oscar per la Bosnia, fa i conti con il fallimento di una delle istituzioni più potenti del mondo. È un film devastante che rimane nella mente dello spettatore giorni dopo averlo visto. Non si può fare a meno di vivere l’agonia nel modo in cui descrive sia i leader militari responsabili del genocidio sia la burocrazia delle Nazioni Unite che non fece nulla per impedire uno dei più feroci massacri della storia dell’umanità.
“Quo vadis” è una frase latina che si traduce approssimativamente in “dove stai andando” o “cosa stai facendo”. Domande che ossessionano ed angosciano la protagonista Aida (Jasna Đuričić).Il suo personaggio è diviso a metà fra due mondi: bosniaca, la sua famiglia si trova nella stessa situazione di trentamila altri residenti di Srebrenica ma allo stesso tempo lavora per l’ONU e questo rende ambigua la sua posizione. Aida ha fiducia nell’ONU.
Il film è metodico nello sviluppare una crescente tensione alimentata dal puro terrore. Rari momenti di normalità si intravedono all’ interno degli edifici delle Nazioni Uniti. La nascita di un bambino è la vita che resiste di fronte alla distruzione imminente. Jasna Đuričić offre una performance di grande impatto emotivo e si pone in netta contrapposizione all’arroganza maschile, rappresentata nel film dai caschi blu olandesi che le negano una salvezza per lei e la sua famiglia a cui pensa di avere diritto.
Tuttavia, cosa rende “Quo Vadis, Aida?”, nelle sale italiane dal 30 settembre, davvero indimenticabile è la sua sincerità. A differenza della maggior parte dei film che hanno raccontato genocidi, la protagonista alla fine non si rivela un’eroina. Non è in grado di salvare una sola vita ed è continuamente costretta a diffondere le false assicurazioni delle Nazioni Unite. Non ha niente a che fare con i capisaldi del genere come “Schindler’s List”, “Apocalypse Now” e “1917”. Il film non mostra alcuna scena del massacro. Non è un resoconto di un’avventura incredibile. Si fa megafono delle disperate richieste di aiuto di una madre. Ciò non significa che Žbanić rifugga dalle atrocità di uno sterminio troppo presto dimenticato ma sceglie di non glorificare lo spettacolo della guerra. Abbiamo bisogno di narrazioni come queste che ci raccontino storie scomode da prospettive meno rassicuranti per il pubblico. Non si intravede ottimismo in Quo Vadis, Aida?, nessun lieto fine che possa risollevare il morale dello spettatore lasciato invece languire di una silenziosa impotenza.