È il film più intimo e personale scritto, diretto e prodotto dal Premio Oscar Paolo Sorrentino. Ispirata alla sua vita, È stata la mano di Dio – presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, dal 24 novembre nelle sale, prima del debutto su Netflix dal 15 dicembre – è una storia autobiografica emozionante e poetica.
Dopo aver portato il suo Young Pope, Paolo Sorrentino sbarca al Lido per raccontare e romanzare la sua infanzia felice circondato da una chiassosa famiglia di zie, zii, cugini. Ambientato a Napoli negli Anni Ottanta, la stessa che aspetta e accoglie festosa l’arrivo del Campione Diego Armando Maradona nella squadra di calcio partenopea, il film segue la vita di Fabietto (Filippo Scotti), un diciasettenne timido che vive con la mamma Maria (Teresa Saponangelo), il papà Saverio (Toni Servillo), un fratello maggiore e la sorella. Trascorre le giornate al mare, tra pranzi, scherzi e battute ironiche. Una spensieratezza, spezzata improvvisamente dalla tragica morte dei genitori, che segnerà la fine dell’adolescenza e un’idea di futuro. «E’ un romanzo di formazione allegro e doloroso, un film costruito su di me, che parla della mia storia personale con l’intento di far capire ai miei figli perché sono sempre così schivo e silenzioso» ha raccontato il regista durante la conferenza stampa di presentazione del film.
Perché ha deciso proprio ora di raccontare la sua storia così personale sul grande schermo?
Quando ho compiuto 50 anni mi sono reso conto di avere forse l’età giusta per farlo. Sono abbastanza maturo per affrontare un film personale. Ci pensavo da molto tempo. Ad un certo punto della vita si fanno dei bilanci. Ora ho realizzato che da ragazzo ho vissuto amore e dolore tali da poter diventare un racconto cinematografico.
Da sempre appassionato di calcio Il film comincia con una citazione di Maradona: ho fatto quello che ho potuto e non è andata così male. Perché proprio questo titolo?
È una metafora e paradosso insieme. Una frase bellissima, riferimento all’unica parte del corpo che nel gioco del calcio non si può usare e in relazione a quello che credo essere il potere semidivino di Maradona. Per noi, allora, è stato un avvento liberatorio.
È vero che fosse contrario al film?
Il mio grande rammarico è proprio quello di non averglielo potuto far vedere, d’altronde non era un uomo accessibile con cui era facile parlare. Non credo sapesse del progetto, presumo che quella sia stata una lamentela dell’entourage.
Sul set accanto a Toni Servillo anche Filippo Scotti Che caratteristiche cercava nell’attore protagonista?
Un regista cerca sempre un attore bravo abbastanza da dirigersi da solo così può dedicarsi ad altro, come in questo caso. Filippo Scotti ha sbaragliato la concorrenza, con quella timidezza e senso d’inadeguatezza che io ricordo di aver avuto a 17 anni.
Ha lasciato totale spazio ai sentimenti e alle emozioni, ha avuto coraggio a raccontare il suo passato.
Nella vita sono molto pauroso, ma nei film spero di essere coraggioso abbastanza, anche se qui mi è servito più per scriverlo che per farlo.
Che ricordo ha di Venezia e considera E’ stata la mano di Dio il film della svolta nella sua carriera?
Sono arrivato al Festival di Venezia vent’anni, agli esordi, e ora ci ritorno con la speranza che sia un nuovo inizio. Volevo realizzare un film essenziale, semplice e che a parlare fossero i sentimenti e le emozioni. Questa è l’unica cosa che non volevo fosse tradita, il resto può essere più o meno fedele, ma non è quello che conta.