L’ambientazione di Mank di David Fincher, disponibile dal 4 dicembre sulla piattaforma Netflix, si svolge in gran parte tra i confini della camera da letto di Herman J. Mankiewicz in un ranch nel deserto del Mojave. Lontano dagli studios americani, l’uomo che sta per scrivere quella che molti considerano la Bibbia per il più grande film mai realizzato, è stato appena ingaggiato da Orson Welles per affrontare temi complessi come l’identità di uomo, il potere dei mass media, il cortocircuito fra finanza e politica e tenere “Mank” , abbreviazione del cognome di Mankiewicz, al riparo dai suoi guai alcolici.
Fincher racconta la genesi di Citizen Kane. Uscito nel 194, Quarto Potere ha sfidato e sovvertito le regole del cinema classico, una vera rivoluzione moderna. In effetti, all’inizio di Mank, il socio di Welles John Houseman teme che la sceneggiatura sia troppo confusa per essere compresa da un pubblico commerciale: “un miscuglio di episodi da talk show, una raccolta di frammenti che saltano nel tempo come fagioli messicani”. La narrazione infatti procede attraverso una complessa struttura di flashback incastrati, pensati come pezzi di un puzzle, che costringono lo spettatore a ricostruire la personalità del protagonista.
Il film, girato rigorosamente in bianco e nero, assume la controversa posizione che Welles (Tom Burke), un cineasta di soli ventiquattro anni, non abbia scritto nessuno dei capolavori che gli sono valsi un Oscar alla sceneggiatura insieme a Hermann, ma si limitò a firmarli. Il regista punta così i riflettori su Mankiewicz, rivelando le influenze e i ricordi che lo hanno spinto a scrivere Kane non semplicemente per raccontare una storia, bensì portare avanti una riflessione filosofica su più livelli. Emerge il lercio di Hollywood, le angherie a cui le maestranze dovevano sottostare e insieme la disgregazione dei valori che cominciava a afarsi strada nella realtà americana.
Mank adatta il suo stile a quello dei film d’epoca. Le inquadrature strette su Mankiewicz, interpretato da un irascibile Gary Oldman, che detta il suo capolavoro a una segretaria, la signora Rita Alexander (Lily Collins), trasmettono abilmente la sensazione di claustrofobia emotiva che lo affliggeva e l’ambiguità di un uomo nelle azioni e nelle intenzioni. I continui flashback che ricordano l’originale Quarto Potere, ricostruiscono le vicende che hanno portato alla stesura dell’atteso film. Le dissolvenze tra una scena e l’altra e le finte bruciature della pellicola permettono di affacciarsi sulla realtà del cinema dell’età d’oro di Hollywod.
Con una sceneggiatura altamente letterata, i dialoghi sono richiami ai testi di Shakespeare, Mank assume la cadenza rapida di un talk show dei primi anni ’30. Come membro del leggendario Algonquin Club, un tempo punto di riferimento di scrittori, critici, attori e letterati, Herman è stato tra i primi drammaturghi e critici teatrali di New York a trasferirsi ad ovest per mettere la loro anima creativa al servizio delle Major di Hollywood. Mankiewicz ha contribuito ad alcune delle più grandi commedie mai scritte e ha preso parte a diversi film dei fratelli Marx, tra cui Monkey Business e A Night at the Opera, fino a quando è stato licenziato da Irving Thalberg a causa dei suoi problemi con l’alcol.
La Hollywood di Mank è una fabbrica di sogni e ombre profonde, di quelle che si profilano dal capitalismo avanzato dove interessi economici, d’informazione e politici vanno di pari passo. In questo modo Fincher evita visivamente Citizen Kane e il suo mito. Se Welles meritasse o meno il merito di co-sceneggiatore per il suo lavoro più famoso è qualcosa che vale la pena discutere, ma Mank si rivela soprattutto un grande omaggio al cinema che ha fatto la storia di Quarto Potere.