Si può solidarizzare con i criminali? Con la periferia, con i neri, con gli arabi, con i derelitti, con i reietti, con i drogati, con gli alcolizzati, con i delinquenti?
E’ questa la domanda che si pone il regista ArnaudDesplechin nel suo ultimo film presentato in Concor
Il film è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione: “Un commissario esperto e compassionevole. Due donne amanti e forse assassine. Una città, Roubaix, estremo nord della Francia, terra desolata e impoverita, filmata con toni lividi e notturni. Un polar dai tanti rimandi cinefili (Hitchcock, Melville, Pialat), mosso però da un sentimento di pietà verso vittime e carnefici, quasi sconsolato nell’attestare i vari tentativi della ragione di rendere comprensibile il caos della realtà”.
Tutto parte da uno sconvolgente documentario di Mosco Boucault del 2007 per la televisione France 3, dove il documentarista segue sei casi interni nel Commissariato di Roubaix, città un tempo prospera, oggi decadente e violenta quanto la miseria che la attanaglia.
Considerato la quintessenza del cinema d’autore francese, il regista si cimenta, per la prima volta, con il reale e con un genere che non gli è familiare, come il polar. Partendo quindi da un fatto di cronaca, Desplechin realizza un thriller sociale teso, febbrile e spirituale, animato dall’intensità teatrale dei suoi protagonisti: Léa Seydoux, Sara Forestier e Roschdy Zem, che per la sua interpretazione ha ottenuto i Premi Lumière e César.
«Oggi ho voluto fare un film che si attenga alla realtà, in ogni parte. Che riprenda un materiale grezzo che, con l’arte dell’attore, possa accendersi. Come indica il prologo della sceneggiatura: non ho voluto lasciare nulla all’immaginazione, inventare nulla, ma ho voluto rielaborare delle immagini viste in televisione dieci anni fa e che da allora mi hanno perseguitato. Perché non ho mai potuto dimenticare queste immagini? Perché solitamente, riesco a identificarmi solo con le vittime. Non mi piacciono troppo i carnefici. E per la prima e unica volta nella mia vita, in due criminali ho scoperto due sorelle. Ho voluto considerare le crude parole delle vittime e dei colpevoli come la più pura poesia che esista. L’ho considerato come un materiale sacro, cioè: un testo che non finiremo mai d’interpretare. Come spettatore, ho le vertigini di fronte alla colpevolezza e all’ingenuità di queste due assassine. Mentre trascrivevo e mettevo insieme questo materiale pensavo sempre a Delitto e castigo. I tormenti di Raskolnikov sono gli stessi di queste diseredate. Sì, Pietà più di quanto si possa dire, è al centro dell’amore».
E’ proprio quel senso di pietas virgiliana, ancor prima che cristiana, che permea lo sguardo di Desplechin. Ognuno dei suoi personaggi la merita a modo suo, ma la merita ancora di più proprio perchè è un essere umano ancor prima che un bianco, un povero, un assassino.
Roubaix, una luce, dice il titolo originale, che è l’unica possibile, quella della comprensione, del non giudizio, della non risposta di pancia, immediata e violenta come alcuni poliziotti fanno all’interno dello stesso commissariato. E’ la luce pietosa degli occhi del commissario Daoud (Roschdy Zem) nato e cresciuto in quelle strade, intrise ogni giorno di socialità e individualità da far combaciare, da restituire alla giustizia ma anche all’umanità. Sono luci ordinarie di una città sfasciata e miserabile come i suoi protagonisti che dentro al racconto dettagliato di un delitto devono riuscire a ritrovare prima di tutto l’amore per sè stessi.