Un sindaco di una grande città, politico perbene e onesto, si trova all’improvviso senza più idee e chiede aiuto a una giovane intellettuale che lo segue a Palazzo. I due ingranano, si intendono, si scambiano e libri, ma il circuito virtuoso tra idee, politica e realtà resta al palo. Metafora della politica al capolinea è il film “Alice e il sindaco” di Nicolas Pariser, nelle sale italiane dal 6 febbraio.
Selezionato per la Quinzaine des Réalizateurs a Cannes lo scorso anno, prodotto da Bim e Movies Inspired e interpretato con convinzione da Anais Demoustier e Fabrice Luchini, il film si colloca nella “commedia politica” francese, e viene interpretato come un omaggio-sequel al film di Éric Rohmer, L’albero, il sindaco e la mediateca, il cui protagonista era Luchini nei panni di un insegnante socialista nella campagna francese.
Socialista è anche il sindaco Paul Theraneau che Luchini interpreta oggi, alla perfezione, nel film del regista allievo di Rohmer che predilige temi politici. La città è Lione, terza città francese per abitanti dopo Parigi e Marsiglia, nonché città notoriamente ben amministrata. L’ambito è quello della buona politica di sinistra, che fa le cose, che ha numeri performanti.
In un Paese, come il nostro, in cui la politica è prevalentemente retroscena e scandali, mentre la parte migliore, per esempio quella dei sindaci, raramente viene raccontata, “Alice e il sindaco” può sembrare fantascienza o irrealtà.
Sembra fantascienza un uomo di potere onesto e gentile, che ha fatto della politica la propria vocazione, credendo in ciò che fa, che in ufficio si sdraia sul tappeto perché ha mal di schiena o si toglie le scarpe perché è in giro dal mattino. Sembra irreale che parli di ideali e di problemi con i suoi collaboratori, che faccia discorsi sensati, che non parli solo di poltrone. Invece, appunto, capita più spesso di quanto si voglia credere.
Dunque il sindaco, che alla politica ha sacrificato tutto, compreso il matrimonio, si rende conto di aver perso ispirazione e non vuole, come gli consigliano, un terapeuta, bensì un filosofo.
Alice Heimann, il cognome tedesco è d’obbligo, è una letterata della gauche, ha insegnato all’estero filosofia e letteratura. In Municipio tra la noia dei lavori del consiglio comunale, i tempi sincopati di appuntamenti, riunioni e pranzi di lavoro, la collaborazione di Alice con il sindaco rianima entrambi da due vite spente e diventa un rapporto fatto di empatia. Il primo cittadino dice di trovare nuovo entusiasmo, fino ad ambire ad essere il candidato premier del partito, che, invece ,gli preferirà un altro nome.
In realtà, quello che nel film non accade è la riaccensione di fiamma tra politica, cultura e realtà. Scorrono tra Alice e il sindaco, i collaboratori, gli amici, discorsi politici e filosofici complessi, di sinistra, alti: Orwell, Pasolini, Rousseau, Marc Bloch, Simone Weil, Robert Musil.
Discorsi ben fatti, un po’ noiosi, comme il faut, ma che sembrano fini a se stessi per descrivere, alla Woody Allen, una situazione di burn out di pensiero e non di scambio fecondo, che la politica sta vivendo rispetto al futuro. Non basta rispolverare vecchi libri perché la politica si rianimi nel profondo e riesca a sintonizzarsi con la realtà.
Il regista Nicolas Pariser, come riporta Ansa, afferma di aver pensato alla figura del sindaco come a “qualcuno di rilievo, non un ministro o un deputato, bensì una figura padrona del suo ambiente. ‘Un piccolo re’, di un piccolo regno, con una piccola Versailles, quindi il sindaco di una cittadina era perfetto”. E per la filosofa “il punto di partenza era quello di voler ricreare la fiaba di La Fontaine, Il lupo e il cane, ovvero la storia di due personalità estremamente opposte. Così, i miei due personaggi sono da un lato qualcuno che ha vocazione ma riflette poco sulle cose, e dall’altro, una persona che pensa troppo e non sa che cosa farne della sua vita. Volevo mettere a confronto questi due paradossi”.
In realtà, a nostro parere, la chiave di lettura del film che funziona di più è quella della metafora. Se si toglie la chiave realistica e della commedia, il film, a nostro parere, migliora.
“Non le sembra di vivere un’impotenza infinita da 30 anni?” chiede l’Intellettuale organico, Alice, alla Politica, il sindaco. Una crisi datata anni Novanta.
“Prima chiedevano tutti più diritti – dirà più avanti la Politica, il sindaco – Ora non credono più nella democrazia”.
La verità sembra quella pronunciata dalla scenografa di teatro, l’Arte, vera Cassandra di tutti i tempi. Ossessionata dalla visione di Antropocene è lucida nella sua sofferenza psichica: “Diventeremo tutti licheni. Combattete il fascismo, mentre il nostro futuro è l’estinzione”.
Di lei dice il marito, la Storia: “Non so se è la follia che le fa vedere la realtà, o la verità che la rende folle”.
In chiusura, tre anni dopo dopo il fallimento alla candidatura a premier e il mancato discorso della vita, il sindaco e Alice si incontrano di nuovo. Nel frattempo Alice ha avuto una bambina. Forse figlia del tipografo, la Letteratura, che le aveva detto: “Il Comune è orribile, non so come tu faccia a frequentarli, non leggono, non studiano”. Alice ora lavora all’estero in un’Ambasciata. Il sindaco ha finito il suo mandato e la giovane ex collaboratrice gli regala l’ennesimo libro, “Bartleby, lo scrivano” di Henry Melville, di cui è celebre una frase, che è un proclama: “Preferirei di no”.