“Lourdes” è un film sulla fede come consolazione e coraggio. E non, come si potrebbe pensare, come ricerca del miracolo. Si potrebbe dire un film sulla fede, la speranza e la carità. Il documentario dei registi Thierry Demaizière e Alban Teurlai mostra la città vista attraverso il popolo dei pellegrini. Girato nel 2017, presentato nel 2019 in Francia dove ha riscosso un grande successo, arriverà nelle sale italiane dal 24 febbraio, con 102 Distribution in collaborazione con Acec. Febbraio è il mese delle prime apparizioni testimoniate da Bernadette Soubirous.
Il viaggio verso Lourdes, negli Alti Pirenei, inizia a notte e fonda. La vita stessa di questa cittadella super organizzata all’interno dei cancelli del santuario comincia con il buio per preparare l’accoglienza. Le immagini del film seguono l’avvicinamento di alcuni pellegrini, di cui si impara a poco a poco a conoscere la storia. Il racconto avviene solo tramite le loro parole, le scene del loro quotidiano. Racconto delicato che mostra sia le difficoltà, sia la speciale umanità di ciascuno.
Tutti i protagonisti sono persone con gravi problemi di salute. Persone che hanno fede, che nel profondo sognano una guarigione che sanno quasi impossibile: “Siamo troppi, sarebbe come vincere a una lotteria” dice una gitana. Ma non è quello, o solo quello, che li muove verso Lourdes. Non è solo l’energia della grotta e l’acqua benedetta. E’ la devozione, l’attrazione “verso la consolazione di una Madre, di cui siamo tutti figli” continua il gruppo di gitani.
Ci affezioniamo a Cedric, che ha 40 anni e ha perso l’uso delle gambe e parte delle facoltà cognitive dopo essere stato investito da bambino sulla strada davanti a casa. Lo assistono i genitori che ancora non si danno pace per la mancata sorveglianza. “Non sono arrabbiata – dice la madre -. Dopo tanto tempo ho cominciato a dirmi che questo era il mio destino: assistere mio figlio”. Cedric si lascia coccolare volentieri, apprezza la compagnia delle giovani infermiere.
C’è Jean-Baptiste, bambino con una rara malattia genetica, che parte con il padre militare per andare a pregare per il fratellino Patrick, cui sono stati diagnosticati due anni di vita. “E i due anni sono già passati”, dice il padre. Nelle sue preghiere il papà chiede coraggio. Jean-Baptiste è pronto a toccare la parete della grotta con l’orsetto del fratellino.
C’è il professionista colpito dal morbo di Lou Gherig, che ricorda il tempo in cui gli è stata diagnosticata la malattia e, ad un certo punto, di aver sentito “una grande pace interiore”: “E’ allora che ho deciso di vivere”. Razionale e consapevole, chiede nelle sue preghiere: “Dammi la forza per permettermi di chiedere un miracolo”.
C’è una ragazzina con una malformazione a un braccio che soffre soprattutto per essere bullizzata dai compagni. C’è un uomo infermo per due tentati suicidi che strappa sorrisi e risate agli accompagnatori tanta è la sua simpatia. C’è un pulmino di prostitute che arriva ogni anno da Parigi con un prete. Ogni tanto ce n’è una che cambia vita. Il trans, “è un uomo” dice il prete, e ha il vantaggio che può fare il chierichetto e servir messa.
A lato delle storie, si muove la perfetta macchina dell’accoglienza. I treni speciali, le riunioni del personale nei reparti che accolgono gli infermi, le cucine e le lavanderie, i tanti volontari, le crocerossine, i barellieri che trainano i risciò. Poi la cura e l’affetto verso i malati, le processioni, le messe, i momenti di festa e di un po’ di baldoria insieme. Infine, il culmine della visita: il bagno gelido, nudi, nell’acqua santa della fonte.
Tante mani e tante braccia. Inquadrate di continuo. Mani, le più diverse, che tremanti sfiorano la roccia bagnata della grotta dell’apparizione. Mani che si stringono e mani giunte, che pregano, che accendono ceri, che accarezzano, che accolgono. Braccia che sollevano e che sorreggono, braccia che cingono e stringono, braccia che si abbandonano.
Ripartire da Lourdes è per tutti un trauma, significa uscire dai cancelli della cittadella e tornare nel mondo.
“Lourdes” è, soprattutto, un film su una normale umanità. Una varia, normale umanità, che per casi fortuiti della vita, si trova davanti a un completo cambio di prospettiva. Può essere un morbo alla nascita o che si manifesta negli anni, per te, tuo figlio, un tuo caro. Può essere un incidente stradale, una qualsiasi distrazione. Ed ecco sei chiuso fuori dal cancello del mondo, non esisti più, se non per i tuoi famigliari e, se sei fortunato, per una rete di sostegno.
Il documentario di Thierry Demaizière e Alban Teurlai ci ricorda che esiste una normale umanità fragile e ferita che ha diritto di sentirsi a casa, consolata e accolta, non solo una volta all’anno e non solo a Lourdes.