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Il bel canto di Rufus riempie l’Auditorium

Luisa Gabbi by Luisa Gabbi
30 Luglio 2019
in Musica
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Il bel canto di Rufus riempie l’Auditorium
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Sul palco della Sala Santa Cecilia gremita, un pianoforte a coda e una chitarra. E’ lì che l’Auditorium Parco della Musica di Roma ha dovuto riprogrammare in tempo record, causa meteo, nel Roma Summer Fest,  il concerto di Rufus Wainwright previsto nella Cavea. Cala il buio, arriva un uomo solo e affascinante, un artista maturo, barba brizzolata sotto i capelli castani. Giacca nera dipinta a strisce bianche e dorate, calzoni neri, scarpe lurex rosse con fiocco. Dovrà riempire quell’immensità, quel tempio sacro. Lui stesso ammette: “Fare il corridoio, vedere i ritratti di Muti, Martha Argerich,… wow!”, stabilendo subito una complicità con il pubblico.

Attacca al piano con Art Teacher questo spettacolo “Oh Solo Wainwright: An Evening With Rufus”  nel quale viene anticipato qualche brano del nuovo album che uscirà in primavera.

Senza altri musicisti in scena, con un gioco di luci efficace ma sostanzialmente statico, in effetti il “Solo” assume più la dimensione del recital che del concerto, dove la voce riempie i vuoti lasciati dagli strumenti.

Rufus introduce i brani con semplicità e ironia, ha un approccio di intesa confidenziale con gli spettatori. Confessa, e non è piaggeria, che cantare a Roma, cantare in un Paese come l’Italia ha per lui un forte rimando. Ama Puccini e Verdi, la sua musica è influenzata dalla lirica.

In una intervista a Rolling Stone che ha anticipato il concerto, Rufus ha chiarito il suo rapporto con la musica lirica e la musica pop: “Mi sono reso conto quasi subito che difficilmente sarei diventato un musicista classico, non era il mio mondo:  (…) avevo una concezione della vita un po’ più rock’n’roll. Così ho utilizzato il mio amore per l’opera in un altro modo, ossia per scrivere le mie canzoni pop e dare loro un colore particolare. In sostanza la conoscenza dell’opera è diventata la mia arma segreta come songwriter”. Nonostante ciò ha composto due opere, la più recente, Hadrian, è dedicata ad Antinoo ed Adriano, riprendendo così anche il tema dell’amore omosessuale a lui caro.

 

L’ampiezza di respiro della musica operistica e il piacere della musica, arrivano diretti dalla tastiera del pianoforte e dalla sua voce, che non è lirica, ma pop-liederistica, sicuramente è bel canto. Tanto che il passaggio dal piano alla chitarra, e quindi al genere della ballata, può essere uno stacco brusco.

I suoi brani incantano, da Poses a This Love Affair, Going to a Town, Cigarettes and Chocolate Milk. C’è in scaletta anche Gay Messiah che gli valse a Sanremo lo scandalo (“adoro gli scandali!”) sollevato dai papa boys, ma Rufus non è certo uno che rinuncia alle sue battaglie. Così come non è mancata l’allusione a Trump, si può supporre, quando presenta Only the People That Love e dice: “E’ dedicata a tutte le persone che amano, tutte le persone, meno una”.

 

Un colpo di teatro è la commovente esecuzione senza amplificazione, né strumenti del brano scritto in memoria della madre Kate, scomparsa qualche anno fa: “C’è una buona acustica, spegnete il microfono” ha detto Rufus spiazzando il pubblico, che si è messo in silenziosissimo ascolto. “Un brano dedicato alla gratitudine” ha anticipato e ha aggiunto un appello all’impegno di ciascuno nei confronti dell’ambiente e del cambiamento climatico, citando anche i disastri del giorno prima in Italia e in Spagna.

Splendida e atteso regalo per il pubblico la cover Hallelujah di Leonard Cohen, in cui Rufus si conferma grandissimo interprete, mentre So Long Marianne soffre troppo della mancanza del coro femminile. Brani messi in scaletta in onore del musicista scomparso. Cohen è peraltro nonno della figlia che Rufus ha avuto da Lorca Cohen e di cui è genitore insieme a Jörn Weisbrodt, sposato ormai 14 anni fa, come il cantante ha ricordato durante lo show, in un certo senso confermando di aver trovato da tempo una sua solida strada artistica e esistenziale.

Chiude con un brano dalla colonna sonora di Moulin Rouge,  lascia l’Italia con un rimpianto,“peccato non aver mai scritto una canzone per Mina” dice, ma chissà, non è mai troppo tardi.

Immagini del concerto di Rufus (c) Auditorium Parco della Musica – pagina Facebook

 

Tags: Auditorium Parco della MusicaCohenConcertomusicamusica popRomaRufus WainwrightSolo
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