È stato quasi 20 anni fa che l’attore e regista Ralph Fiennes ha letto per la prima volta la biografia scritta da Julie Kavanagh su Rudolf Nureyev dal titolo “Rudolf Nureyev: The Life”. Ora, esce nelle sale dal 27 giugno, il film che racconta la vita del leggendario danzatore russo che elettrizzò il mondo del balletto internazionale negli anni ’60 e ’70, seducendo il pubblico con una tecnica fuori dal comune con giri e salti mai visti prima e la fresca sensualità del suo sguardo.
Che si tratti di ballerini classici o gruppi rock femministi postpunk, gli artisti rappresentano una particolare minaccia nelle società soppresse. (Anche se oggi, per ironia della sorte, il più famoso disertore non è né un artista né un russo, ma un informatore americano sotto protezione a Mosca!). Tornando al film, diviso in tre parti, Parigi 1961, gli anni di Leningrado dal ’55 al ’61 e gli anni dell’infanzia alla fine degli anni ’40, Rudolf Nureyev – The White Crow, restituisce il ritratto dell’evoluzione di Nureyev fino al momento in cui diventa il ballerino più famoso del mondo per due motivi. Il primo è il ballo e il secondo è che è stato il primo cittadino sovietico di una certa importanza a disertare la propria patria in tempi in cui il balletto nell’Unione Sovietica era un simbolo di nazionalismo oltre ad un veicolo per la propaganda.
Nureyev è incontenibile e ribelle, a soli 22 anni fa a parte della rinomata Kirov Ballet Company. Durante una «tournée» del Kirov a Londra e Parigi nel fatidico 1961, si rifiutò di tornare in patria e suscitando, cosi, negli anni della guerra fredda, un clamoroso caso internazionale intorno al suo nome. La leggenda della danza sovietica è interpretato dal giovane e fiero Oleg Ivenko, mentre Ralph Fiennes oltre a dirigere il suo terzo film, si ritaglia il ruolo di Alexander Pushkin, famoso maestro russo di ballo. Molte belle le scene di Nureyev che danza. Su tutte il finale di “Swan Lake”, in cui i corpi di Nureyev e Margot Fonteyn si fondono in un connubio perfetto. Una vita girovaga, tutta genio e sregolatezza quella di “Rudy”. Attraverso testimonianze di critici, ballerini e biografi, veniamo a conoscenza di molti aneddoti a proposito della sua presenza carismatica, la sua energia, la sua irruenza animalesca. Ascoltiamo per voce dell’attrice gallese Sian Phillips, passaggi interessanti tratti dalle memorie di Nureyev e ripercorriamo la sua infanzia attraverso i racconti dei vecchi amici di scuola.
Fiennes evita accuratamente i cliché sull’Unione Sovietica alla fine degli anni ’50. Peccato invece che siano troppo pochi i momenti in cui si intravedono i diversi alter ego di Nureyev che lo portavano a trattare chiunque gli fosse accanto come un sottoposto indegno di qualsivoglia forma di rispetto. Rimangono dettagli in sottofondo per concentrarsi sulla vita artistica di chi, ed è tanta roba, ha rivoluzionato la danza maschile in tempi in cui lo sguardo del pubblico era principalmente rivolto verso le ballerine. Con Nureyev è arrivato nella danza maschile un mix di genere e di sessualità, un ballerino che sul palco non voleva essere una “stupida statua, forte e bella”.