La nuova serie francese di Netflix “Osmosis” inizialmente ricorda “Hang the DJ”, l’episodio di Black Mirror, dove ogni cosa è perfettamente inclusa in un algoritmo. Ma i primi due episodi rivelano poco sui pericoli delle nuove tecnologie e molto sui limiti della scienza di fronte alle emozioni umane: ambizione, insicurezza, dolore e amore.
Parigi, un futuro non lontano. Paul (Hugo Becker) e Esther (Agathe Bonitzer) sono fratello e sorella, geniali programmatori informatici, a capo della società di Osmosis che ha abbattuto l’ultimo baluardo: decodificare l’amore vero. L’App sta per essere lanciata ed ha bisogno di cavie:12 candidati dalle psicologie complesse nel loro modo di relazionarsi all’amore. La tecnologia Osmosis piazza dei nanorobot nel cervello che analizzano ogni pensiero ed emozione e, attraverso i social media e altre informazioni disponibili, promettono di trovare l’anima gemella con una compatibilità perfetta.
Le cavie di Osmosi presto scopriranno che l’algoritmo amoroso di Paul non è così infallibile. C’è un prezzo da pagare quando in cambio dell’amore infinito e senza tempo, si accetta che la tecnologia possa accedere agli angoli più reconditi del nostro inconscio e ai segreti meglio nascosti nel profondo del cuore.
Il trailer della serie pone domande pesanti, provocatorie e minacciose. Essere felici e non soffrire più significa raggiungere lo zenit con un’altra persona? Un’unione ideale, un climax intimo e perfetto: una comunione che va al di là del fisico, l’armonia in cui tutto concorda e si adatta. Insomma la pienezza della solitudine è davvero al di fuori della nostra portata?
La serie molto attenta, elegante e ben fotografata che sa giocare con i primi piani, ritrae perfettamente il volto di una società futura in cui interazioni sociali e gli incontri sessuali, nella maggior parte dei casi, si svolgeranno in ambienti asettici e virtuali che ci libereranno da parassiti e germi ma apriranno la porta a nuove malattie come la dipendenza virtuale o la dipendenza tecnologica.