L’attrice britannica Felicity Jones, candidata al Premio Oscar per la sua acclamata interpretazione in “La teoria del tutto”, ha incarnato Ruth Bader Ginsburg nel nuovo film di Mimi lederi Una giusta causa. n modo perfetto. Ha centrato la sua essenza, si è connessa con la sua realtà. Nel 1956 Ruth è una delle tre donne che studiano legge ad harvard. Nonostante il suo talento, fu rifiutata da tutti gli studi legali in quanto donna. Sostenuta dall’amore del marito Martin Ginsburg (Armie Hammer) e dall’avvocato progressista Dorothy Kenyon (il premio Oscar Kathy Bates),
La regista Mimi Leder apre il film con un classico contrasto di scena, una donna marcia solitaria verso Harvard in un mare di uomini in completo. racconta di aver sentito l’urgenza di raccontare la storia di questa donna così forte che, a dispetto di ogni ostacolo, ha saputo realizzare i suoi sogni e portare avanti la sua lotta per l’uguaglianza dei diritti per le donne.essere rimasta folgorata sin dalla prima lettura della sceneggiatura. “Anch’io ho sperimentato l’amara realtà della discriminazione e ho lottato duramente per ottenere lavori che alla fine sono stati assegnati a persone di sesso maschile. Ho sentito una similitudine nelle nostre esperienze: entrambe madri, di origine ebrea e con alle spalle una lunghissima storia d’amore basata sul rispetto umano e professionale. Il mio matrimonio dura da 32 anni, il giudice Ginsburg ha avuto un matrimonio lungo e pieno d’amore e di questo si parla molto nel film”.
La battaglia di Ruth Bader Ginsburg contro la discriminazione sessuale inizia dalla cena con il rettore della prestigiosa università durante la quale alle tre nuove studentesse di legge viene chiesto il perché della loro scelta di diventare avvocato, occupando un posto destinato ad un uomo. All’università sono ignorate in classe o non prese sul serio dai colleghi o dai professori. Fanno fatica a trovare lavoro presso gli studi legali. Le donne insomma dovrebbero rimanere a casa ma se scelgono di lavorare si devono accontentare di ruoli da segretarie, insegnanti o infermiere. È nell’ordine naturale delle cose.
Il film, ne cinema dal 28 marzo, è stato scritto da Daniel Stiepleman , nipote di Ruth Bader Ginsburg, con il contributo della stessa Ruth. “L’ispirazione è arrivata durante il funerale di suo zio Martin, nel 2010 mentre ascoltavo l’elogio funebre”, racconta lo sceneggiatore. “Quando durante la funzione funebre, uno dei loro amici più cari si è alzato e ci ha fatto sorridere raccontando ai presenti l’unico episodio di litigio tra Ruth e Marty, in quel momento ho pensato: wow, questo potrebbe essere un film incredibile!”.
Nel cuore della storia c’è il caso Charles Moritz, un uomo a cui vennero negati 296 dollari sulla sua detrazione fiscale in quanto badante maschio. “Questa è discriminazione basata sul sesso!”, esclama Ruth nel film leggendo il caso. “Se un tribunale federale decidesse che questa legge è incostituzionale, diventerebbe il precedente a cui gli altri si riferiscono e su cui costruire”.
Il caso Moritz ha ribaltato un secolo di discriminazione di genere influenzando tantissime leggi che oggi diamo per scontate. Il film sottolinea l’importanza dell’attivismo sociale perché la storia del giudice Ginsburg è più attuale che mai. La sua eredità parla ai movimenti MeToo e Time’sUp e alle disparità culturali, di genere, di sesso, di retribuzione e di diritti. Ma non è finita. È solo l’inizio e tutto è cominciato con Ruth Bader Ginsburg.
Contrariamente a giudici conservatori come l’italo americano Antonin Scalia, Ruth sposa l’idea di una “Costituzione vivente” capace di adattarsi ai tempi per garantire diritti a chi una volta ne era escluso. “I giudici non devono essere guardiani platonici delle leggi, cui prestare un’obbedienza dogmatica”, ha più volte ribadito nel corso della sua vita, “ma assicurare che diventino uno strumento per la società per affermare i suoi valori”.