Arriva al Teatro India la TRILOGIA ARVIGO, tre spettacoli con protagonista Elena Arvigo, artista di estrema sensibilità che regala un’interpretazione toccante e viscerale, di tre donne importanti espresse nella loro anima inquieta e nel loro essere vulnerabili e fragili.
Ad aprire la Trilogia, in scena da oggi sino al 3 marzo, è 4:48 Psychosis della drammaturga inglese Sarah Kane. Uno dei testi più controversi e intimi del teatro contemporaneo mondiale; una sinfonia sull’amore e sull’assenza di amore, una drammaturgia toccante e molto complessa di cui l’attrice riesce a renderne la drammaticità e allo stesso tempo, in alcuni passaggi, l’ironia.
Il secondo appuntamento della Trilogia è dedicato, invece, a Il Dolore che Marguerite Duras scrisse a Parigi quando aspettava il ritorno del marito Ropert Alpage deportato a Dachau. In scena il 23 e il 24 marzo, Il Dolore è un diario (forse) autobiografico, pubblicato dopo 40 anni, che racconta gli ultimi giorni di guerra nell’Aprile del 1945, dove testimonianza storica e resoconto emotivo dell’attesa si fondono nella penna inconfondibile della Duras, in grado di descrivere con il suo stile particolare ed estremo coraggio la profondità dei suoi stati d’animo.
Chiude la Trilogia, il 30 e 31 marzo, Una ragazza lasciata a metà dell’irlandese Eimear Mcbride, con il suo delirio di pensieri legati alla famiglia e ai suoi intimi dolori.
Tre ritratti intensi, appartenenti a periodi e tempi diversi e lontani tra loro, ma tutti densi di vita, di traumi e sofferenze, di cui l’attrice, sola in scena, si fa portavoce in prima persona, assoggettando il suo corpo e la sua voce, uscendo fuori da sé stessa e diventando altro.
Per l’occasione abbiamo intervistato la protagonista Elena Arvigo, poliedrica artista che si è raccontata a TheSpot.news.
Inizierei con il chiederti come, partendo innamorata della danza, sei giunta a relazionarti ad altre arti. Sei, infatti, oltre ad una ballerina, una regista e un’attrice. Qual è stato il tuo percorso e come riesci a trovare un connubio tra queste realtà?
In realtà, come accade per le cose importanti, un po’ non mi sono accorta di quello che stesse accadendo ma allo stesso tempo era chiaro che stessi andando in quella direzione. E’ stata un ricerca che non era legata né alla danza né al teatro ma era un bisogno che riguardava il voler uscire da un determinato ambiente borghese e di trovare il mio spazio. Uno spazio in cui potessi esprimermi e, sicuramente, ha contribuito alla scelta quello che sapevo fare e che mi piaceva; la danza, ad esempio, l’ho studiata sin da piccola perché mia madre era una grande appassionata, la recitazione, invece, è arrivata in maniera molto organica. Una serie di vicissitudini, il trasferimento a Londra, il frequentare degli ambienti e alcuni incontri, anche inaspettati, mi hanno portato ad aprirmi ad altro.
Credo che la vita, più che un cerchio che si chiude, sia una linea retta che va e nella quale accadono delle cose complesse; io ero molto appassionata di psicologia e mi ero iscritta a Torino, poi mi sono ritrovata a vivere altro ma ancora oggi nei miei spettacoli voglio provare a restituire la complessità dell’essere umano, quindi, credo che le cose accadano e che non si debbano per forza analizzare.
La vita è pienissima di sfumature, si è sempre in balia delle cose e non si mai cosa possa accaderti.
Anche qualche giorno fa, quando ho presentato il mio spettacolo a dei ragazzi, ho voluto ribadire che questo mestiere non è un lavoro: è chiaro che mi sostenga e mi faccia vivere ma non si tratta di un semplice lavoro, è qualcosa di più, sono fortunata e privilegiata a farlo.
A proposito del tuo lavoro, credi che sia più complicato per una donna?
Assolutamente si. Credo che la regista donna, ad esempio, sia osteggiata e molti uomini fanno fatica a rapportarsi ad alcuni tipi di donna. Ovviamente non ha nulla a che fare con la molestia ma è proprio che sei esclusa; c’è certamente un’età in cui la donna è più fragile e più molestabile ma decide comunque di non sottostare a delle dinamiche o a dei ricatti di ruolo. Questo, quindi, ti esclude da un certo tipo di potere e di incarichi. Ovviamente la donna ha raggiunto tanti traguardi, se pensiamo che, qualche anno fa, non aveva neanche diritto di voto ed era estremamente e grandemente esclusa, ora ha comunque raggiunto tanto. Certo questo è un discorso molto ampio e più sociale e antropologico ma certamente nell’ambito lavorativo la donna è ancora penalizzata.
Parlando della Trilogia: sono spettacoli in cui interpreti delle donne importanti e con ruoli molto forti. Come è stato doversi approcciare a questi personaggi e come li hai scelti?
Nasce tutto in maniera molto organica. Quando faccio la regia degli spettacoli cerco sempre di portare in scena dei personaggi che mi piacciano e mi coinvolgano e anche questa volta ho deciso di interpretare dei ruoli che mi potessero attrarre. La Trilogia, il cui nome è stato dato dal Teatro Torlonia, unisce tre grandi testi: 4:48 Psychosis è il primo testo che abbia mai fatto, diverso tempo fa, e quest’anno che ricorrono i 20 anni dalla scomparsa di Sara Kane abbiamo deciso di riproporlo. Per quanto riguarda Il Dolore della Duras, era da tempo che volevo affrontare questa scrittrice che amo in maniera viscerale e Una ragazza lasciata a metà lo faccio da anni e mi piaceva riportarlo in scena.
Amo molto la letteratura e voglio portarla a teatro, sono interessata all’interpretazione più che alla semplice performance -visto che oggi si parla molto di teatro performativo- anche se ogni spettacolo comporta una performance, cioè un rapporto unico con il pubblico del ‘qui e ora’.
Com’è il tuo rapporto con la TV, pensi di tornarci?
Anche in questo caso le cose sono andate naturalmente. Non c’è stata mai una scelta di farla o meno, all’inizio del mio percorso è stato sicuramente più semplice fare televisione, oggi, invece, in teatro mi sento più libera di interpretare dei ruoli che possano piacermi e che scelgo. In TV ci sono, certamente, meno ruoli che potrebbero appassionarmi al contrario di quelli in teatro. Ad esempio, lavorerei nuovamente ad un progetto come quello di ‘Fabrizio De André – Principe libero’, quindi dipende dai ruoli e dal tempo che debba esse dedicato ad ogni lavoro.
A livello drammaturgico, pensi di produrre qualcosa?
Non scrivo perché penso che mi sarebbe fatale farlo. Già ‘parlare’ con le parole degli altri mi appaga e mi riempie, se scrivessi qualcosa di mio penso che brucerei. C’è tanta bellissima letteratura, tanti fantastici personaggi che non sento l’esigenza di produrre altro; preferisco raccontarmi attraverso, non so, Anna Karenina o Giocasta che sono già incredibili.
Dopo l’intenso periodo che ti vedrà impegnata nella Trilogia, sarai subito al lavoro con un altro progetto? Cosa ti piacerebbe fare?
Mi piacerebbe realizzare qualcosa di diverso dai monologhi per lavorare e confrontarmi con gli altri ma, intanto, debutto con un monologo, al Teatro Festival di Napoli, tratto dalle lettere di Pirandello a Marta Abba con la regia di Arturo Arnone e sono davvero contenta. Per il resto è stato un anno molto impegnativo e vorrei concentrarmi su quello che ho realizzato e pensare a qualcosa di nuovo.