Kusama – Infinity”, il documentario diretto dalla regista Heather Lenz, è il ritratto perfetto di una storia di rara emancipazione femminile, con un finale catartico data l’indicibile sofferenza della protagonista che ha lottato per quasi 60 anni della sua vita contro ostracismi familiari, pregiudizi, sessismo, razzismo, furti creativi, depressioni e ossessioni fin troppo semplicisticamente definite maniaco-depressive. “Kusama – Infinity”, il su Yayoi Kusama, l’artista femminile vivente più venduta al mondo, arriva nelle sale da martedì 4 marzo distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema in occasione dei suoi 90 anni.
Un quadro da far accapponare la pelle che Yayoi Kusama ha incredibilmente saputo affrontare nel migliore dei modi possibili, ovvero prendendosi quella rivincita, insospettabile, su tutto l’establishment artistico. Oggi, a 89 anni, (il 22 marzo ne compirà 90) è l’artista donna più venduta al mondo, con buona pace di critici e galleristi che la rifiutarono o la misero all’angolo. Ma in quei 60 anni quante sconfitte, povera Kusama! E in più due tentati suicidi. Era evidente che il destino la voleva ancora da questa parte del visibile per regalarle fama e denaro come mai in vita sua. Ma ciò che un tempo forse inseguiva, oggi non è più nei suoi pensieri. E’ sempre “esprimere la sua arte” con urgenza ciò che conta.
La brava Heather Lenz ripercorre con dovizia di particolari gli anni in Giappone e il tormentato rapporto con la famiglia, la madre non gradiva i suoi lavori artistici tanto che le strappava costantemente i disegni, il padre invece si rifugiava tra le braccia di altre donne, sotto gli occhi spesso della stessa piccola Kusama. Da qui si dice una certa ossessione/fobia per il sesso e una serie di opere ispirate a questo dolore (le sue “Penis Chairs”).
Durante gli anni della Guerra Kusama addirittura cuce paracaduti per i soldati. Sarà l’orrore per questa violenza, o la ricerca di una via artistica personale, anche spinta dalla O’Keefe che in una lettera le aveva detto di provare a venire in America, ma la piccola Yayoi parte per gli Stati Uniti, senza un soldo, ma con infinite ambizioni. Il paese delle grandi libertà le riserverà però atmosfere difficili e montagne russe in ogni campo, sarà quasi più conosciuta in Europa che in America, ma la cosa più grave fu vedere quasi costantemente le sue idee rapinate, trasformate e rivendute da altri artisti, pensino Andy Warhol. Delusa, ossessionata dai suoi fantasmi, tenta il suicidio prima di tornare in Giappone dove dovrà ripartire da zero a quasi 45 anni. Qui diventerà una commerciante d’arte fino a quando, nel 1977, decide di farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico di Tokyo dove ha preso residenza permanente, senza però mai smettere di fare arte. Poteva rimanere dimenticata e sconosciuta invece una serie di retrospettive partite dopo l’invito della Biennale di Venezia del 1993 porteranno la Kusama a una fama mondiale strameritata. In questo senso il lavoro della regista culmina proprio con il trionfo di Yayoi che con la sua parrucca rossa e i suoi vestiti “obliterated” rendono l’artista, la persona, il personaggio.
La Kusama ha dichiarato di essere stata ossessionata e perseguitata da questi “dots”, questi punti, la forma sferica, lo spazio, da allucinazioni che ha cominciato ad avere a 13 anni e che non l’hanno mai più abbandonata. Ha attraversato Pop Art e Minimalismo con una visione e una produzione assolutamente originale, fuori dal comune e ha dato al concetto di Spazio, Forma, Amore, Universo, Creazione nuove possibilità, visioni e forme. Oggi è naturalmente straconosciuta per le sue sculture colorate, le zucche giganti con i punti neri, le Infinity Mirror Room o le sfere argentate del Giardino di Narciso. Personalmente ho avuto la fortuna di visitare molte sue mostre ma mai di incontrarla, spero un giorno sia possibile, l’ultima volta che l’ho “toccata” è stato in Brasile, nel meraviglioso giardino Inhotim di Brumadinho, dove Kusama con il suo Narcissus giace tra le placide acque e il verde di un luogo incantevole.
Nel 2017 a Tokyo ha anche aperto il suo museo personale, dove forse sarà possibile stringerle la mano dal vivo, con la mostra inaugurale dal titolo “Creation is a Solitary Pursuit, Love is What Brings You Closer to Art” perchè, nonostante ne abbia esperito poco di amore, non dimentica mai che è l’unico motore della nostra Vita.