Come Michael Haneke con Funny Games, Takashi Shimizu con The Grudge e George Sluizer con Il mistero della donna scomparsa prima di loro, Un uomo tranquillo di Hans Peter Moland – e la sua sfrenata e sanguinosa sete di vendetta – lo vede nel remake del suo acclamato thriller norvegese del 2014, In ordine di sparizione, questa volta in inglese. “Dicono sempre che un regista non dovrebbe mai fare il remake di un proprio film“, osserva ironicamente il regista. “Ma quando ci ho pensato, mi sono detto, ‘Perché no? E poi non è che non fossi felice dell’originale. Ho cercato di guardare la cosa da una prospettiva diversa, quella di un regista teatrale che aveva realizzato una produzione di successo a Oslo, e ora aveva la possibilità di fare una nuova produzione a Broadway, per un nuovo pubblico e con un cast di nuovi straordinari attori“.
Il film, nelle sale dal 21 febbraio distribuito da Eagle Pictures, ha come protagonista un Liam Neeson diventato killer per necessità nel ruolo di Nels Coxman. Tra i bianchi ghiacci di Kehoe, località sciistica in Colorado, una spietata guerra di territorio per il controllo del traffico di cocaina uccide per errore il figlio di Coxman, cittadino modello il cui compito è quello di spazzare la neve, o meglio, di aprire la via quando questa viene sepolta dalla bianca pioggia.
Una vita che viene sconvolta dall’oggi al domani e che porterà il mite Coxman ad ingaggiare una battaglia privata per farsi giustizia da solo. Intraprende la via della vendetta, ma non si rende conto in che situazione si staa mettendo. Pensa di dare la caccia all’uomo che ha ucciso suo figlio. In realtà, tutto degenera in un vortice di violenza. E l’intero film è avvolto da un humor tagliente.
Strizzando l’occhio al western, a Tarantino e ai fratelli Coen, il film si dimostra una godibilissima e ironica black comedy nonostante il dolore del padre per la perdita del figlio. “Ci sono grandi somiglianze tra umorismo americano e quello norvegese“, spiega Moland. “Quando la gente dice che i miei film hanno un umorismo tipicamente “scandinavo”, non sono assolutamente d’accordo. [In Norvegia] diciamo scherzosamente che i danesi non sanno fare le commedie. Quindi, essere messi alla loro stregua non è esattamente un complimento. Ma, più di ogni altra cosa, il mio umorismo è influenzato molto dai cineasti americani – come Billy Wilder, per esempio. E avendo vissuto a New York negli anni ’70 e ’80, quell’umorismo oscuro, grottesco, macabro, mi era molto familiare. Per questo qualsiasi mia caratteristica tipicamente ‘scandinava’ è anche fortemente influenzata da tutto ciò“.
La sete di vendetta non risparmia nessuno, nemmeno gli indiani, che si sa, in un western devono entrare per forza. Sembra di essere all’interno di un saloon più che dentro un castello di ghiaccio, pistole e morti facili, occultamenti di cadaveri, inseguimenti e donne. Tutto, estremamente ben orchestrato. Del resto il produttore è Michael Shamberg, che la gavetta l’ha fatta con Pulp Fiction, Out of Sight e Get Shorty.
Interessante anche il punto di vista sull’universo maschile e femminile sottolineato nel film. “Gli uomini qui sono prepotenti – afferma Moland – arroganti, e non hanno molto umorismo. Sono seri da morire (appunto!) oppure morti. Le donne invece sono abbastanza intelligenti da prendere le distanze dalle azioni degli uomini e dalla loro stupidità”. Bello a proposito il ruolo di Laura Dern nella moglie devstata e delusa di Neeson e quello di Julia Jones nel ruolo di Aya.
La sensazione, uscendo dalla sala, è quella di aver visto un film violento sull’inutilità della violenza e della vendetta e sul ruolo che ricopriamo come genitori. Ridendoci su.