Mahmood, nome d’arte di Alessandro Mahmoud, è nato a Milano, il 12 settembre del 1992 ed è il vincitore del 69esimo Festival di Sanremo: un successo che arriva appena due mesi dopo quello di Sanremo Giovani. Le polemiche sono il pane quotidiano del giornalismo di costume e non: si narra venisse svezzato quando in televisione davano ancora il Pranzo è servito, condotto da Davide Mengacci, altro noto palcoscenico nazional-popolare in cui fare gavetta per carriere politiche. Per ogni altra curiosità socio anagrafica e per valutazioni etnico genetiche sull’italianità del vincitore potete rivolgervi alla rete.
La canzone vincitrice, Soldi, rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest 2019 in programma dal 14 al 18 maggio a Tel Aviv, in Israele. Ritmo orecchiabile, ballabile, Soldi sa anche provocare. Parla di un figlio e di un padre assente. Non si può dire in che misura la canzone sia autobiografica. Mette in versi quanto il denaro, la mancanza, il bisogno quanto l’ossessione, possa a volte modificare i rapporti in una famiglia; narra di un padre del quale è difficile fidarsi, del ricordo in parole cariche di nostalgia: waladi waladi habibi ta’aleena, (ndr: ragazzo, ragazzo, tesoro mio amato).
Claudio Baglioni. Ha ballato in total white, non si dica mai più sia uno stoccafisso. La sua resta una direzione artistica azzardata, pertanto positiva. Al Festival di Sanremo, decade dopo decade, si è prediletto sempre un certo tipo di ‘canzone all’italiana’, lo spettacolo vi si è adeguato, lasciando ai margini sonorità già contaminate che avvengono (e sono avvenute) al di là della kermesse, con e senza il consenso del modestismo della tradizione. La sensazione di disordine, caos, percepita era reale. Non si aspettavano certo tante voci, tanti stili, tante melodie ed arrangiamenti diversi. Escludere dal palcoscenico ospitate internazionali ha meno a che vedere con il sovranismo e più con la necessità di mostrare quanto il panorama musicale italiano si sia in realtà evoluto, come oggi sia poliedricità reale, da non rifiutare a priori, al di là di inutili polemiche e dei gusti personali di ciascuno. Se questa lettura è giusta, Claudio Baglioni ha fatto un lavoro sì perfettibile ma di gran merito. Il Baglioni conduttore è questione altra, così come la pretesa di conciliare quel ruolo con il Baglioni cantante: il risultato è meno brillante, stancante.
Virginia Raffaele e Claudio Bisio. Alla fine sono riusciti a nuotare a vista. Meglio Virginia Raffaele. Liberatoria la dedicata standing ovation per l’esilarante medley di voci storiche femminili che ha regalato. Bisio ha una comicità che non può essere apprezzata su tempistiche strette: non gli resta che interpretare il tapino. Degno di nota il tentativo di restituire a Loredana Bertè il posto d’onore che si auspicava potesse occupare. A lui il compito di placare la rivolta della platea per un quarto posto non gradito.
La competizione. Se proprio non si vuole superare il concetto di competizione nella kermesse canora nazionale più importante, è auspicabile pensare ad un sistema di valutazione differenziato in base a generi?
I 24 cantanti in gara in ordine di classifica decrescente. Ultimo arriva secondo e non la prende bene: il predestinato sfodera in conferenza stampa e sui social un ‘elegante’ repertorio da capo popolo. Sì avrà la sua rivincita soprattutto tra gli estimatori del modello ‘capitani a noleggio’. Vince il premio Tim Music. Il Volo si piazzano al terzo posto senza polemica: è un buon piazzamento per il trio che si esporta all’estero. Loredana Bertè: quarto posto dopo 4 standing ovation. L’Ariston in rivolta conferma l’affetto sincero nei suoi confronti e i suoi social l’acclamano: è lei la vincitrice morale dell’edizione. Simone Cristicchi e Daniele Silvestri si piazzano rispettivamente al quinto e sesto posto. Cristicchi vince il Premio Sergio Endrigo per la migliore interpretazione ed il Premio Giancarlo Bigazzi per la migliore composizione. Daniele Silvestri vince il Premio della Critica Mia Martini, il Premio della Sala Stampa Lucio Dalla e il Premio Sergio Bardotti per il miglior testo.
Irama è settimo e dispiace sia per la qualità del lavoro che ha presentato sia per la personalità garbata che incanta. Arisa onora il palco nonostante la febbre, piazzamento onesto. Achille Lauro non va oltre il nono posto, seguito da un inutilmente polemico Enrico Nigiotti. Sono undicesimi i Boomdabash: la loro canzone è già un tormentone alla radio. Ghemon, Ex-Otago e Motta sono rispettivamente in dodicesima, tredicesima e quattordicesima posizione con testi e perfomance che comunque tracciano percorsi e carriere di rilievo. Francesco Renga è quindicesimo. Sorprende invece il sedicesimo posto di Paola Turci, come il diciassettesimo di The Zen Circus. Il pubblico dell’Ariston lo sottolinea con brusii di disappunto. Niente da ridire sul diciottesimo posto di Federica Carta e Shade. Qualche fischio per il diciannovesimo posto a Nek e per il ventesimo dei Negrita. Quasi scontati gli ultimi quattro piazzamenti, in ordine Patty Pravo con Briga, Anna Tatangelo, Einar, Nino D’Angelo e Livio Cori.
Gli ospiti. A spezzare il ritmo della gara, ci pensa Lo Stato Sociale davanti all’ingresso dell’Ariston. Cantano E la vita, la vita insieme a Renato Pozzetto. Tutto troppo veloce, una necessaria ma inconsistente concessione allo spettacolo. Il primo superospite è Eros Ramazzotti morso dalla fretta che gli devono aver appiccicato addosso. Canta Vita ce n’è, poi Adesso tu, vincitrice del Festival del 1986. Con Luis Fonsi canta Per le strade una canzone. Niente di memorabile. Elisa è la seconda superospite. Si esibisce con il nuovo singolo, Anche fragile. In duetto con Baglioni, canta la bellissima Vedrai, vedrai per l’omaggio a Luigi Tenco.
Ndr. Non guardavo il Festival di Sanremo da trent’anni. Rari gli ascolti, se non di voci amatissime. Non avrei mai immaginato di sedere per cinque serate di seguito, volontariamente, davanti un televisore e chiudere il telecomando delle tentazioni nel cassetto degli attrezzi. La redazione di TheSpot.news, composta da avanguardie spossate, oggi sulla via del ritorno, e dai disfatti della sedia, era alla sua prima esperienza: l’abbiamo onorata sul campo. Parafrasando la Bertè, ci vuole appena un anno per essere un attimo, dunque il nostro è un arrivederci Sanremo, alla prossima.