Si apre oggi, 1 febbraio, il concorso lungometraggi del Sudestival di Monopoli. Si inizia con “In viaggio con Adele”, opera prima di Alessandro Capitani che presenterà il film e incontrerà il pubblico prima e dopo le proiezioni insieme a Michele Suma, direttore artistico della manifestazione.
Dopo il cortometraggio “Bellissima”, premiato con il David di Donatello, il regista Alessandro Capitani esordisce con un road-movie che vede protagonisti l’attrice Sara Serraiocco nei panni di Adele, una ragazza ‘speciale’ che indossa solo un pigiama rosa con le orecchie da coniglio, e il cinico e ipocondriaco attore di teatro Aldo, interpretato da Alessandro Haber. I piani di Aldo vengono sconvolti quando, a seguito dell’improvvisa morte della madre di Adele, scopre di essere il padre della ragazza. Con il compito di dirle la verità e l’intento di liberarsene, i due partono risalendo dalla Puglia su una vecchia cabrio per affrontare un viaggio dalla meta incerta. Accomunati dalla solitudine e dal bisogno di amore, i due si scopriranno poco a poco, inaspettatamente, un padre e una figlia.
Un delicato racconto di due ‘solitudini’ che si incontrano, di scoperta di due identità che in un viaggio on the road troveranno il modo di fondersi. ‘In viaggio con Adele’ non narra semplicemente di un viaggio tra un padre e una figlia, ma sottende una profonda riflessione su ciò che è considerato normale e sulla paura della diversità. Con delicatezza, commozione e qualche risata impariamo a non avere paura dell’altro, delle malattie, dei germi, dei sentimenti, della pazzia e in generale della vita.
Ci troviamo dinnanzi a delle tematiche, quelle del viaggio on the road e quella della maschera, perché il tenero pigiama indossato da Adele è in realtà una sorta di costume da super-eroina che la protegge in alcune situazioni, certamente già dibattute sul grande schermo ma che Capitani riesce a raccontare con estrema delicatezza e senza banalità. Merito anche di un azzeccatissimo cast composto da Alessandro Haber, Sara Serraiocco e Isabella Ferrari oltre che, ovviamente, di una sceneggiatura forte firmata da Nicola Guaglianone che ha lavorato ad un soggetto realizzato con il grande Tonino Zangardi e con lo stesso Alessandro Haber.
Per l’occasione Alessandro Capitani ci racconta del suo esordio alla regia di un lungometraggio e ci svela qualcosa sul suo prossimo lavoro.
La tua opera prima … come e perché ora? Perché questa storia?
Mi hanno proposto questa storia, una sceneggiatura eccellente di Nicola Guaglianone, di cui io non ho scritto nulla ma che ho deciso di realizzare cercando di capire come metterci del mio. Io, in realtà, non sono un padre e nella mia famiglia non ho nessuno con problemi di autismo, quindi erano mondi e personaggi a me sconosciuti. Il mio, dunque, è stato un viaggio diverso, un viaggio di scoperta.
Mi è piaciuto tanto il rapporto tra padre e figlia e volevo raccontarlo. In realtà nei miei lavori ho sempre trattato la ‘diversità’, ad esempio in ‘Bellissima’ ho parlato di diversità – se così possiamo chiamarla- fisica, quindi c’erano dei temi che mi prendevano, che mi piacevano e che sapevo potessi masticare.
Il dovermi approcciare e scoprire delle tematiche come la sindrome di Asperger è stata un’esperienza incredibile e formativa e ho cercato, quindi, di portare il mio mondo, il mio gusto e forse la mia delicatezza nell’affrontare queste storie, nel film. Ho cercato di avvicinarmi il più possibile a questa storia che, non essendo mia, mi poneva delle difficoltà maggiori nel realizzarla e nell’affrontarla.
Quindi ti sei trovato a dirigere, con una storia non tua, un cast d’eccezione nel quale era presente anche uno dei creatori della storia, Alessandro Haber. Come è andata?
Per qualsiasi regista che viene dai cortometraggi era un sogno voler realizzare un film. Quindi, come dicevo, pur non essendo una mia storia ho voluto farla mia il più possibile. Confrontarmi con Haber è stata, anch’essa, un’esperienza molto formativa. Lui è un big con alle spalle 120 film e certamente non è stato Alessandro Capitani a dovergli spiegare il cinema ma anzi il contrario. Il film doveva partire prima dell’estate e invece è stato posticipato a settembre, ho avuto, quindi, la fortuna di frequentare Alessandro Haber non solo come regista e attore ma come amico. In realtà ha la stessa età di mio papà ed è stato un po’ come rapportarmi con un padre e anche per lui sono stato una sorta di figiastro. Questa cosa ci ha permesso di avvicinarci, ho potuto cogliere l’aspetto umano e non solo quello attoriale.
La delicatezza di cui parlavi emerge anche grazie all’utilizzo di un costume rosa da coniglio. Il tema della maschera, così imponente, nel tuo lavoro, invece, regala ad Adele un’aria innocente e infantile.
Esatto, il costume cioè il pigiama rosa -ci piaceva il rosa, tutto il modo di Adele lo è- è una maschera. Adele indossa il cappuccio quando vuole stare con se stessa, nei momenti negativi può entrare nel suo mondo. E’ un costume che le dà forza e racconta il suo modo di essere e la sua specificità.
Quindi questo rosa, delicato e fanciullesco è in contrapposizione con il suo essere donna.
Assolutamente, è un personaggio che deve giocare con questa contrapposizione. Nella sceneggiatura il personaggio di Adele non ha, volontariamente, arco narrativo. Lei è così dall’inizio alla fine; doveva giocare con una serie di elementi -scritti benissimo da Nicola Guaglianone- in cui doveva passare da uno stato infantile ad uno più adulto, più cosciente. Variopinta e ad intermittenza in tutta la scrittura, qualcosa di incontrollabile ma allo stesso tempo al quale ci si affeziona incredibilmente. Il personaggio di Haber, invece, è diverso. L’arco narrativo è esplicito, all’inizio è in un modo e cambia durante il film.
La stranezza, la cosiddetta diversità: chi lo è veramente tra Adele e Aldo?
E’ proprio quello che volevamo raccontare. Metti insieme due personaggi di cui uno ti sembra ‘strano’ e l’altro normale. Poi, invece, durante il film queste cose si intercambiano, alla fine è lei che risulta più normale rispetto ad Aldo che è legato ad una serie di preconcetti, di dogmi, che sono i nostri dogmi, del vivere oggi. Alla fine ti domandi cosa sia diverso, cosa sia giusto o sbagliato e ti rendi conto che la diversità sia più normale di quanto si pensi.
Stile registico: ti sei ispirato a qualcuno? Quali sono i tuoi gusti in ambito cinematografico?
Pur avendo girato in pochissimo tempo, solo quattro settimane, sono davvero soddisfatto di quello che abbiamo realizzato. Certo, avendo più tempo, penso che qualcosa l’avrei fatta diversamente.
Ci sono dei grandi registi che hanno segnato la mia crescita, uno di questi è Daniele Luchetti che è stato mio insegnante al Centro Sperimentale e che mi ha aperto gli occhi su come dirigere gli attori. Tra gli stranieri potrei dirti i fratelli Coen, Alexander Payne, solo per citarne alcuni.
Stai già lavorando ad un nuovo progetto?
Si, anche se sono scaramantico e quindi non vorrei dire molto. Posso svelare che si tratta di una storia di fantasmi, una mia storia questa volta. Ho anche un’idea che tratta di una truffa, vedremo!