Olivier Ayache-Vidal cominciò a scrivere la sceneggiatura di Il professore cambia scuola (titolo originale Les Grands Esprits), il suo primo lungometraggio, nel 2013. Distribuito in Italia da PFA Films e EMME CINEMATOGRAFICA, il film uscirà nelle sale il 7 febbraio. Documentarista nel metodo, con una produzione del genere ben consolidata, Ayache-Vidal ha portato in ripresa tre anni di analisi ed osservazione, scrivendo una sceneggiatura che ricorda lavori di approccio etnografico. L’accesso alle scuole di Seine-Saint Denis, tra cui lo stesso college Barbara Stains in cui è principalmente ambientato il film, ha permesso di penetrare gli ambienti e di appuntare dinamiche che fanno da cornice alla storia dei due protagonisti: il professore, François Foucault, interpretato da un ispirato Denis Podalydés, e Seydou, il giovane studente di periferia, interpretato dall’esordiente Abdoulaye Diallo. Preservando lo stile del reportage, sapientemente prestato alla definizione dell’architettura scenografica nella finzione, gli studenti della scuola diventano attori, così come alcuni docenti: gli uni e gli altri ingaggiati nel tentativo di restituire una riflessione filmica più autentica sui dualismi scuola/società, adulti-docenti/studenti.
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La trama del film è semplice, addirittura prevedibile. François Foucault, professore di lettere di un prestigioso liceo parigino, si ritrova in un istituto della banlieue, senza davvero volerlo, per redigere un rapporto di qualità dei metodi di insegnamento nelle periferie. È qui che incontra Seydou. Il ragazzo condivide con i suoi compagni di classe un atteggiamento di svogliatezza e disinteresse per la scuola, per ogni disciplina. La conflittualità della relazione che si instaura tra il severo professor Foucault ed il giovane bulletto, Seydou, metterà a nudo le fragilità dell’uno e dell’altro, fracasserà resistenze e permetterà la contaminazione delle realtà in cui le due esistenze si sono assestate, almeno fino al momento della rinascita. Come nella migliore tradizione sul topic, il rapporto si rivelerà catartico per entrambi. Per il professore della Parigi bene, si tratterà di riscoprire un significato più vero e profondo della propria professione, reinterpretandola come missione generatrice di senso altro anche per se stesso, uomo esposto all’insorgenza di emozioni non attese, né controllabili. Seydou, invece, accompagnato in un lento processo di riappropriazione dello scrigno delle speranze, comprenderà come studio e conoscenza siano forse lo strumento per oltrepassare il perimetro di una grigia periferia e che un destino già scritto non esiste, forse. L’originalità del lavoro di Ayache-Vidal è nella leggerezza che accompagna la riflessione. Non ci sono forzature, né banalizzazioni. I dialoghi sono credibili, realistici, così come l’evoluzione della storia e di ciascun personaggio. Mentre i sorrisi degli spettatori echeggiano nella sala, la narrazione filmica riafferma con disarmante semplicità il riscatto delle identità singolari sul terreno comune della conoscenza, attraverso una costante mediazione dei linguaggi. Un film godibile anche per i cinefili più esigenti.