In rete e a Katowice, per paradosso centro nevralgico della Polonia per l’attività estrattiva di carbone, risuonano ancora, vibranti di chiara e non edulcorata denuncia, le parole di Greta Thunberg, giovane quindicenne, attivista svedese, rivolte ai delegati di 196 paesi convenuti alla 24esima Conferenza delle parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Per due settimane si è negoziato avendo come obiettivo l’adozione di un regolamento comune per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, l’importante rulebook. La conferenza comprendeva, infatti, anche la 49a Sessione dell’Organo Sussidiario per la Consulenza Scientifica e Tecnologica (SBSTA), l’Organo Sussidiario per l’Attuazione (SBI) e la Settima Parte della Prima Sessione dell’APA, la taskforce istituita al termine della Conferenza di Parigi, con il compito preciso di definire le regole per il funzionamento dell’Accordo.
Anche l’Italia ha fatto la sua parte, sia pur con timidezze. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha ribadito l’impegno del paese in ambito nazionale ed internazionale sul fronte del contrasto alle emergenze umanitarie causate dal cambiamento climatico e delle quali, sciagurate e perduranti scelte economiche, sono cause accertate. Non solo, quindi, azioni mirate al superamento dell’uso di carbone entro il 2025; ma l’impegno dell’Italia, di concerto con gli altri Stati membri della Ue, a supporto della Finanza per il clima: risorse quantificate in 7 milioni di euro come contributo alle politiche internazionali per la ‘mitigazione e l’ adattamento nei paesi in via di sviluppo’ e a sostegno di quanti ‘più sono esposti agli impatti e ai danni dovuti alle variazioni del clima’. Promesse, prospettive e decisioni che necessitano però di un cambiamento di visione del mondo. Il cambio di direzione nelle politiche economiche in chiave geopolitica può essere affrontato solo con la definizione di programmi dedicati all’educazione ambientale: dobbiamo cambiare il volume e la qualità del nostro consumo. L’Italia sembra si muova nella giusta direzione per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 12 dell’Accordo di Parigi, interamente dedicato all’educazione ambientale e all’importanza di questa per il conseguimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030. Un primo passo lo rappresenta il Protocollo d’intesa sottoscritto, all’inizio di dicembre, dal ministro Costa e dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti: un documento che mira a rendere strutturali i percorsi di educazione ambientale nelle scuole e stanzia, fin da subito, 1,3 milioni di euro.
Il processo di transizione ad una società e ad un’economia sostenibile passa dall’acquisizione di una consapevolezza critica delle connessioni strutturali che intercorrono tra fattori scientifico-ambientali, sociali ed economici. Informare, correttamente e con continuità, è uno degli obblighi morali cui anche i media non possono più sottrarsi: la questione ambientale, o meglio le questioni ambientali, sono non più argomenti riempitivi. In Italia sono molti i soggetti che da anni sono impegnati nella denuncia, nella definizione di pratiche sostenibili, nella sperimentazione di una comunicazione capillare e puntuale in fatto di ambiente e sostenibilità, tra questi un’eccellenza, ERICA, società cooperativa fondata nel 1996.
Da vent’anni, ERICA contribuisce alla strutturazione e alla comunicazione di un pensiero critico sull’ambiente, oltre che alla condivisone di know-how in fase di progettazione tecnica. Specializzata nella consulenza a enti pubblici e privati nel campo della gestione dei rifiuti, ERICA opera nei settori della prevenzione dei rischi, del ciclo delle acque, dell’efficientamento energetico e dell’agricoltura biologica.
Ringraziamo il Dr. Roberto Cavallo, amministratore delegato, di ERICA, per aver risposto alle nostre domande ed aver condiviso prospettive e speranze dopo Katowice Cop24.
ITC: Dr. Cavallo, un commento sui risultati raggiunti a Katowice COP 24.
RC: Io sono tra quelli che vede il bicchiere mezzo pieno. Intanto ha avuto una discreta eco mediatica, forse secondo solo alla COP 21 di Parigi, il che è già significativo perché ha permesso di sensibilizzare un maggior numero di persone sul cambiamento climatico in atto e sulle crisi ambientali che già oggi ci coinvolgono e che si acuiranno nei prossimi anni. Vedo il bicchiere mezzo pieno, non tanto e non solo perché sono eternamente ottimista, ma soprattutto per due ragioni. Alla vigilia era tutt’altro che scontato che si approvasse il rulebook, il libro delle regole, ovvero che si adottassero e sottoscrivessero gli impegni presi a Parigi: le minacce del presidente Trump erano più di un’ombra sul vertice. In seconda battuta, alla fine della prima settimana, l’opposizione di quattro Stati, quali USA, Russia, Kuwait e Arabia Saudita, all’adozione del documento preliminare, motivata dalla redazione di una semplice frase, confermava come i lavori fossero tutt’altro che facili da condurre. Certo si sarebbe potuto, e si sarebbe dovuto, ottenere molto di più, in particolare una revisione degli obiettivi di Parigi, alla luce delle nuove conclusioni dell’International Panel on Climate Change (IPCC), era più che auspicabile; ma non dimentichiamo che siamo di fronte ad un atteggiamento addirittura negazionista ed ostile rispetto ai vecchi impegni. In questo clima politico (non solo atmosferico), ascoltare le parole di una quindicenne, Greta Thunberg, non può che dare speranza per il futuro dell’uomo sulla Terra.
ITC: Qual è invece la sua valutazione sul lavoro, sull’impegno, sul ruolo svolto dall’Italia?
RC: Penso che in generale sia presto per dare un giudizio sull’attuale governo. Il programma presentato dal Ministro Costa, all’atto del suo insediamento, è certamente interessante e ambizioso, ma purtroppo il ministero dell’Ambiente continua a non essere centrale come dovrebbe. Si continua a pensare che l’economia e l’ambiente siano cose diverse, che il lavoro non abbia a che fare con l’ambiente, si continua a tenere centrale il Ministero delle Finanze (più di quello dell’economia reale), senza comprendere che invece puntare sull’economia verde significa creare maggiori posti di lavoro a parità di investimento; significa cambiare radicalmente la visione a partire dal lessico: prevenzione al posto di protezione, resilienza al posto di resistenza, servizi anziché beni, riusare e riciclare anziché trattare o smaltire. Assistiamo ancora a troppe incoerenze, basti pensare alle trivellazioni in Adriatico e in Basilicata, o al parlare di inceneritori. Certamente il Ministero dell’Ambiente qualcosa ha incominciato ad ottenerlo, penso al gruppo di lavoro sull’economia circolare o l’aver avocato a sé la gestione, anche economica, della Terra dei Fuochi, ma parallelamente sono spariti dal Documento di Economia e Finanza i fondi per il credito di imposta per le imprese che investono in prevenzione dei rifiuti o ancora l’ecotassa sulle automobili. Spero che con il tempo, al di là delle forze politiche, i temi della sostenibilità diventino via via più centrali, perché sono la vera scommessa per il futuro del nostro Paese e dell’Europa.
ITC: Il lavoro sul territorio svolto da Erica Soc Coop è, da anni, incentrato sulla capillarità dell’informazione sui temi di ambiente e sostenibilità.
RC: ERICA nasce oltre vent’anni fa, ad Alba (CN), a seguito dell’alluvione che colpì il sud Piemonte, nel novembre 1994, quando il Tanaro e i suoi affluenti si portarono via 70 vite. Ci accorgemmo come la sensibilità a ciò che ci circondava, in particolare agli elementi naturali, era inesistente e insieme alla sensibilità si era persa la memoria storica. Occorreva ricucire un legame strappato, riannodare un nuovo tessuto tra uomo e ambiente e lo si poteva fare solo ripartendo dall’uomo. Per questo abbiamo incominciato con un progetto europeo, che univa Alba, Avignone e Barcellona, territori colpiti a diverse riprese da fenomeni alluvionali. Un progetto, denominato Rivermed, che puntava a sensibilizzare i cittadini dalle scuole ai consigli comunali, passando per professionisti, imprese, associazioni alla “convivenza” con i corsi d’acqua. Una sensibilizzazione articolata in mostre, giochi di ruolo e uso delle nuove tecnologie. Da quell’esperienza ERICA ha proseguito la sensibilizzazione ponendo sempre al centro ciò che ciascuno di noi può fare nella propria quotidianità: dall’uso consapevole dell’acqua alla riduzione dei rifiuti, dalla raccolta differenziata al risparmio energetico, dal decoro urbano alla diminuzione delle emissioni.
Orgogliosamente ERICA è anche un modello di nuovo stile di lavoro, con un fortissimo welfare al centro, una comunità di 25 persone che non producono rifiuti (52 kg di rifiuti prodotti un anno solare), che monitora i propri consumi energetici, che inizia la settimana con il fitness e la finisce con lo yoga; con procedure di qualità interne che “obbligano” a lavorare in team interdisciplinari, e con un redistribuzione dei redditi per cui non si può superare il rapporto 1 a 2,5 tra i neo ingressi e il top management; un lavoro condotto con una formazione continua attorno ai 4 valori che ci siamo dati: passione, squadra, responsabilità ed etica: tutto questo è per noi sostenibilità.
Occorre ripartire da noi stessi, dando l’esempio in prima persona, sospendendo ogni forma di giudizio.
ITC: Quanto c’è ancora da fare per spostare verso l’alto l’asticella dell’impegno dei principali media in Italia sulla comunicazione di temi e questioni ambientali? Lei, in prima persona, si dedica all’informazione con dirette quotidiane su Facebook, le sue #envinews, brevi live che ‘educano’ al nuovo lessico di cui c’è bisogno.
RC: In generale penso che, anche grazie alla diffusione delle testate on-line, ci sia molta più diffusione e accesso alle informazioni. Ovviamente occorre saper discernere e selezionare tra le notizie corrette e quelle superficiali o addirittura errate. Consiglio sempre di confutare, considerare più fonti, incrociare le notizie. Come per la politica, però, anche nell’informazione i temi ed i tempi ambientali sono schiacciati dal quelli economici e di cronaca. L’ambiente fa notizia solo quando fa disastri, come testimonia anche il recente rapporto Ecomedia. Dopo l’esperienza di ScalaMercalli e Geo&Geo, le mie “comparsate” a Unomattina, Petrolio, o Nemo sono sporadiche e di qualche minuto. Per questo ho avviato l’esperienza della “envinews” sulla mia pagina Facebook. Ogni giorno commento una notizia e, devo dire, che il riscontro è positivo. Anche la Radio si è accorta di questa mia rubrica e sia Radio Proposta in Blu di Aosta che Radio Beckwitt Evangelica di Torre Pellice riprendono settimanalmente la mia rubrica con un mio intervento.
Insomma, nel mio innato ottimismo, qualcosa si muove!