“Non abbiamo scelta, dobbiamo restare e sopravvivere”. Per il suo primo lungometraggio, Funan in concorso alla Festa del cinema di Roma, il regista Denis Do decide di raccontare un fatto storico di cui si sta perdendo memoria. Siamo nella dittatura degli Khmer Rossi, capeggiata da Pol Pot, artefice di uno tra i più cruenti genocidi della storia, una strage che ha provocato la morte di un quarto della popolazione cambogiana. Migliaia di fosse comuni sono state scoperte dopo la loro caduta, vittime di un’interpretazione atrocemente utopica del marxismo.
Per gli Khmer, un’armata contadina guidata da un nucleo di giovani borghesi cresciuti in Francia e innamorati del maoismo (il “vero” comunismo), era necessario, indispensabile creare il “popolo nuovo” eliminando il “popolo vecchio”. Ovvero, massacrare, cancellare ogni retaggio feudale, ogni simbolo occidentale. Un compito difficile, ma, per i fanatici, non impossibile.
Pol Pot, morto probabilmente per cause naturali nel ’98 senza essere mai chiamato a rispondere dei suoi crimini, in una intervista rilasciata ad un giornale USA qualche anno prima della sua morte, non si mostra pentito, non avverte alcun rimorso per il genocidio ordinato.
Vengono obbligatoriamente in mente le parole di Hanna Arendt: “Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali”.
Tornando al film, nella messa in scena il regista fa una scelta semplice, ricorre alla tecnica dell’animazione, in stile quasi documentaristico, per ricreare l’esperienza di quei cambogiani costretti dal furore ideologico del nuovo regime a lasciare le città per lavorare nei campi. Tra questi, c’è la famiglia del piccolo Sovanh, un bambino di tre anni. Durante la loro deportazione da parte delle truppe dell’Angkar, l’organizzazione incaricata dai Khmer di instaurare una rieducazione di ispirazione comunista, il bambino viene separato dai genitori. Da quel momento ritrovare il figlio sarà per Chou e suo marito Khuon l’unica ragione per sopravvivere.
Siamo abituati a ritenere i film di animazione materiale cinematografico per bambini, eppure questa formula filmica può anche essere un veicolo per raccontare ad un pubblico giovane fatti storici che spesso sono considerati un po’ troppo astratti, lontani e aridi sulla carta da chi ha opinioni polarizzate sul potere delle immagini.
Ed è qui che sta il valore del film. Funan vincitore all’Annecy International Animated Film Festival, è solo l’ennesimo esempio di quanto abbia da offrire questo genere cinematografico, anche a confronto con il cinema reale, che molte volte risulta essere meno efficace e paradossalmente più artificioso.