Il vino fin dai tempi antichissimi, ha rivestito ruoli diversi: da elemento di dominio dei popoli ad alimento, fino ad essere oggi, un fattore di distinzione sociale e di filosofia di vita.
Quindi in un’epoca di profonde trasformazioni socioculturali, è lecito chiedersi quale sarà il futuro del vino? Che ruolo avranno i biologi, i chimici, gli ingegneri genetici?
E’ stato questo il tema al centro del convegno organizzato dalla Delegazione Lazio delle Donne del Vino che si è svolto sabato 15 settembre 2018 presso l’Azienda Mazziotti a Bolsena (VT). Un’occasione di dibattito e confronto sul tema dei cambiamenti climatici e delle prospettive di crescita del comparto in chiave sostenibile. A moderare il convegno la delegata del Lazio delle Donne del Vino, Maria Sofia Dare’ Biancolin, in veste anche di presidente della Deutschland Sommelier Association – DE.S.A.
Ad aprire i lavori Attilio Scienza, professore associato di ‘Fitormoni e fitoregolatori in arboricoltura’ e docente ordinario di Viticoltura all’Università degli Studi di Milano. “Il cambiamento climatico nella viticoltura è una realtà antica che non deve spaventare. Dobbiamo solo essere tempestivi e intervenire con i mezzi che oggi la scienza e la ricerca ci mettono a disposizione. Occorre guardare al climate change come fattore di progresso”.
Secondo Scienza, il cambio climatico deve per esempio indurre la genetica a produrre nuove varietà. “Non dobbiamo pensare – spiega – di sopravvivere nei prossimi anni cercando di produrre meno co2, dobbiamo piuttosto passare alle soluzioni di adattamento: possiamo controllare minimamente le cause del cambio climatico, a noi conviene introdurre l’innovazione, che è la soluzione”. L’enologo sfata poi un luogo comune sul riscaldamento globale: “Negli ultimi 40/45 anni l’incremento all’anno della temperatura è solo di 0,7 gradi, una cosa impercettibile e sopportabile se si pensa che oggi le soglie di rischio vanno invece da 1,2 a 2 o 3 gradi. Solo che noi siamo vittime un po’ della comunicazione, che ci fa preoccupare molto. Complessivamente oggi registriamo una diminuzione complessiva di co2 e le temperature non sono calate, ciò significa che si sta verificando un problema indipendente dalla co2. Le precipitazioni non sono condizionate dalla co2, ma sono un fenomeno completamente diverso. Noi invece cerchiamo di mettere tutto insieme e di ‘punirci’ per i nostri comportamenti”.
La viticoltura italiana 50/60 anni fa, dopo la fine della mezzadria, era assolutamente primitiva, fatta solo da varietà molto tardive, molto diversa da quella attuale e i vigneti erano promiscui. Si è modificato la viticoltura, sfruttando ad esempio un materiale genetico cattivo e non di qualità. “Abbiamo in pratica introdotto una serie di vitigni stranieri, molto precoci (attualmente sono maturati gli Chardonnay, i Pinot Neri, i Sauvignon), ma in ambienti caldi”, ha precisato Scienza. “Allora non possiamo dare la colpa delle variazioni fenomenologiche al cambio climatico, perché stiamo cambiando invece tutta la viticoltura. Siamo di fronte ad una realtà genetica e culturale completamente diversa. E di questo nessuno parla”.
Quali sono le prospettive per il futuro? Scienza suggerisce di scegliere “le varietà non in base alla moda o ai piacer del cultore, che ad esempio vuole produrre Pinot Nero anche in posti molto caldi, ma all’ambiente”.
Se i consumi di vino calano in Italia, i vecchi e nuovi mercati esteri diventano sostanziali per la sopravvivenza dell’intera economia vinicola. In Germania ad esempio, secondo un’indagine svolta da Veronika Crecelius, giornalista e corrispondente per l’Italia della rivista tedesca Weinwirtschaft, i tedeschi nutrono una grande passione per per i vini italiani. “A spopolare negli ultimi tempi sono i grandi rossi del Sud Italia (come Nero d’Avola e Negramaro) – sottolinea – e i bianchi del Nord (Prosecco in testa, malgrado il persistente problema della speculazione sui prezzi), entrambi in forte espansione in Germania, al punto da superare l’interesse registrato storicamente per i nettari del Piemonte (Nebbiolo, in testa) e della Toscana (Chianti). Sul fronte dei rosati, emerge il forte interesse per il Chiaretto che, secondo l’indagine, è l’unico a registrare vendite. Mentre per quanto riguarda il giudizio relativo ai vini con fascia di prezzo superiore ai 10 euro il sentiment è generalmente buono”.
Insomma il vino del futuro dovrà essere a impatto zero per continuare a sopravvivere. “Il cambiamento climatico nella viticoltura è una realtà antica che non deve spaventare. E’ un ciclo che si ripete”, ha ribadito Paolo Peira dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani “Giovani”.
Nei prossimi 20 anni ci sarà una probabile inversione di tendenza. Più che la paura delle temperature, occorre preoccuparsi delle violente precipitazioni e delle successive ondate di siccità. Cosa bisogna fare: capire il ‘materiale vegetativo’ di cui si dispone e prendere le contromisure”.
Testi: Paola Medori
Riprese: Paola Medori
Montaggio: Claudio Martinez