Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta si sviluppò in quasi tutti i paesi occidentali un vasto ciclo di mobilitazioni e di proteste dal “basso”. La teoria del domino non funzionava più come mantello ideologico e arma di convincimento di massa. Era nata una generazione che era disposta a impegnarsi, e aveva la sensazione che quell’impegno avrebbe potuto fare la differenza. Questa radicalizzazione da parte della gioventù è da considerarsi come un momento chiave l’enorme mobilitazione mondiale per fermare la guerra del Vietnam.
Dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Francia all’Italia, il Vietnam può essere considerato il vero catalizzatore di un «ampio ripensamento collettivo» che stava maturando e coinvolgendo il mondo giovanile.
In quel calderone di fermenti nati in luoghi culturalmente lontanissimi, in una piccola provincia della toscana tra Pisa e Livorno, cinque ragazze, tutte minorenni, tranne una, salirono su un aereo che le avrebbe portate in Estremo Oriente, convinte di imbarcarsi nella tournee del secolo fra Hong Kong, le Filippine e il Giappone.
Sono Le Stars, una band di giovanissime ragazze toscane componenti di uno dei rari gruppi femminili dell’epoca. Si chiamavano Rossella Canaccini (cantante, di Livorno), Viviana Tacchella (chitarrista, di Piombino), Daniela Santerini (organista, di Pontedera), Manuela Bernardeschi (batterista, di Piombino, originaria di Pisa), Franca Demi (bassista, di Piombino). Avevano un sogno, uscire dalla provincia rossa delle case del popolo e del PCI.
Armate di strumenti musicali e voglia di cantare, partono sognando il successo ma si ritrovano in guerra, e la guerra è quella vera del Vietnan. Tre mesi d’inferno trascorsi nelle basi sperdute nella giungla, tra i soldati americani e la musica soul, bombardamenti feroci ed esperienze ai limiti della sopravvivenza.
Dopo cinquant’anni, la loro storia è raccontata nel documentario Arrivederci Saigon’ di Wilma Labate, presentato in Sconfini della 75 Mostra di Venezia.
Il ritorno in patria fu un’esperienza persino peggiore. Convinte di aver imboccato la strada del successo, Le Stars si ritrovarono invece messe sotto processo dagli oppositori alla guerra per aver scelto di schierarsi con la parte sbagliata, quella dell’imperialismo americano.
Nel documentario prende forma una storia rimasta nell’oblio per anni. A raccontarsi sono le stesse protagoniste, Rossella, Viviana, Daniela e Franca, ora signore più che di mezza età. Manuela, la quinta componente, ha scelto di sottrarsi a questo viaggio rievocativo. “Lei non ne vuole più saperne di questa storia”, rivelano le sue ex compagne. “Anche noi non siamo riuscite a parlarne liberamente, fino ad oggi. Abbiamo cercato di di dimenticare quell’esperienza, gravate dal senso di colpa per esserci messe al soldo dei americani, come sosteneva chi ci accusava di essere delle traditrici. Il nostro più grande sbaglio è stato firmare un contratto, credendo di partire per una tournée in Asia”.
Tra immagini di repertorio e interviste alle protagoniste, oggi praticamente tutte insegnanti nelle rispettive scuole di musica, Arrivederci Saigon si rivela un prezioso documento storico che restituisce dignità ad una storia che invece merita di essere conosciuta. Le loro testimonianze affiorano come lampi che colpiscono al cuore. Si apprende che il famoso ‘Good Moorning in Vietnam’ per loro sarà fatto di puzza di carogne, umidità soffocante, latte condensato e pastasciutta nei barattoli, tante bare e tantissimi giovani con lo sguardo spaventato e, spesso, in lacrime. Bombe a mano, posti di blocco, rumori di aerei, confusione nelle strade, corpi dilaniati, miseria a non finire: la tournee si era trasformata in un incubo.
Le parole delle protagoniste si mescolano al profondo senso di ingiustizia che ti coglie alla gola. Quel silenzio appare finalmente in tutta la sua inammissibile viltà, svelando l’indole di un paese, il nostro, che sembra desiderare solo l’oblio.
“Ho scoperto questa storia -racconta Labate – grazie a Giampaolo Simi, scrittore di Viareggio, che l’ha scoperta a sua volta grazie ad un piccolo libro scritto da Daniela Santerini. E’ accaduto sei anni fa e in questo periodo non le ho mai mollate, ho cercato di conquistarle e nell’anno del 50° anniversario del ’68 sono riuscita a realizzare il documentario”.
In quei tre mesi fra Saigon e Da Nang quelle ragazze sono state ‘usate’, come erano usati i soldati; nella sua ricostruzione Labate ricorda il sessismo di alcune esibizioni di ragazze in bikini che salivano sul palco per distrarre dalle atrocità giovani soldati e il razzismo di una società che permetteva agli afro-americani di combattere a fianco dei bianchi, ma non di sedere accanto a loro nella vita ordinaria.
“Il materiale a disposizione -continua la regista- era davvero tanto. Abbiamo dovuto compiere una scelta e, in un certo senso, si è optato per raccontare il back-stage della guerra, non perché fosse meno cruento o meno pericoloso ma perché ci è sembrato più interessante e, soprattutto, perché le protagoniste hanno vissuto quella dimensione”.
Una donna, dunque, che racconta la storia di donne che hanno vissuto qualcosa di ancora molto, troppo attuale. “Per tutte era stata un’iniezione di realtà -conclude Labate- non erano ragazze sprovvedute ma erano state catapultate in un mondo che non avrebbero mai voluto conoscere”.