A Bucarest, e non solo, #Rezist (Resistere) e #FaraPenali (Senza Pregiudicati) sono gli hashtag più usati e gli slogan scanditi dai manifestanti per organizzarsi, ricompattarsi e coordinare le azioni dell’eterogeneo e trasversale movimento di protesta anti-governativa che dichiara come obiettivi immediati le dimissioni del governo a guida PSD (gli ex-comunisti), presieduto dal primo ministro Viorica Dancila, le dimissioni del leader del PSD, Liviu Dragnea, le elezioni politiche anticipate. Il paese di lingua romanza, che delimita a est la penisola balcanica, è da anni scosso da una profonda crisi istituzionale e sociale acuitasi dopo le elezioni politiche del 2016 che hanno visto trionfare il PSD guidato dal controverso e pluri-condannato leader, Liviu Dragnea e caratterizzata da un lungo ed estenuante braccio di ferro tra società civile ed ampie fette dell’establishment politico ed amministrativo in odore di corruzione.
Con una popolazione di circa venti milioni di individui, una diaspora importante in termini numerici, circa 4 milioni i rumeni che vivono all’estero, di cui circa 1.190.000 residenti in Italia, la Romania è un’economia in forte crescita, i dati tuttavia nascondono gravi problemi strutturali ed un rischio povertà che colpisce larghe fette della popolazione. Nel terzo trimestre 2017, la crescita del Pil all’8,6%, risultava essere la migliore performance a livello europeo, cui seguiva una positiva proiezione di crescita stimata al 4,4% per il 2018. Per gli economisti europei, il boom rumeno è diretta conseguenza di un aumento progressivo dei consumi proporzionale alla crescita dello stipendio medio mensile che oggi si aggira intorno ai 533 euro. Con l’aumentare della domanda, dei prezzi, oltre che dell’inflazione (al 3,2% negli ultimi 4 anni), è aumentato anche il divario socio-economico tra la capitale ed il resto del paese. Da una parte, Bucarest si presenta come una metropoli, di circa due milioni di abitanti, che cresce inseguendo il modello delle altre capitali europee: l’industria dell’intrattenimento, l’internazionalizzazione degli eventi culturali hanno fatto del centro storico, Lipscani, una meta ricercatissima anche dai turisti; dall’altra, le aree della città più disagiate, in cui prevalgono povertà e degrado, come a Ferentari, restano ai margini. Delle 41 contee in cui la Romania è amministrativamente suddivisa, Cluj, Timis, Prahova, Costanza, Brasov e Sibiu seguono l’esempio di sviluppo della capitale; nelle restanti regioni domina l’abbandono e la miseria; vengono a mancare sia gli investimenti pubblici sia quelli privati. A Vaslui, Botosani, Teleorman, gran parte della popolazione vive di soli sussidi sociali. È in queste sacche rurali di povertà, sospese tra la promessa di un’ evanescente emancipazione e la memoria di un passato che rassicura, che il PSD intercetta la sua solida base elettorale a dispetto degli scandali che ne hanno travolto i massimi esponenti. Dopo la vittoria alle elezioni politiche del 2016 e tre primi ministri succedutisi in poco più di un anno, la nomina di Viorica Dancila, prima donna premier in Romania, avrebbe dovuto segnare una svolta positiva per la pacificazione degli animi eppure la Romania è oggi tutt’altro che pacificata: a frenare da anni uno sviluppo armonico del Paese è proprio la corruzione.
La società civile, in particolare i giovani della diaspora così come quelli che nel paese vi risiedono, ne sono ormai consapevoli e pretendono di realizzare il sogno di una società più equa, aperta, proiettata al futuro e liberata dall’oscurantismo prodotto dalla corruzione di un sistema che ancora prova a difendersi dal nuovo. Dopo il 1989, c’è un momento preciso in cui la società civile rumena ha preso coscienza del proprio diritto inalienabile a vivere in un paese libero dalla morsa della corruzione. Il 30 ottobre 2015, un incendio sviluppatosi nel nightclub Colectiv di Bucarest, durante un concerto, causò la morte di 64 persone ed il ferimento di altre 150 persone. A causa delle gravi ustioni riportate, tra le vittime ci fu anche una studentessa italiana, Tullia Ciotola. La Romania era in stato di shock. Le indagini svelarono un numero scandaloso di irregolarità e responsabilità precise a livello politico-amministrativo, tali da scatenare proteste di piazza che portarono alle dimissioni dell’allora primo ministro Victor Ponta (PSD), già sotto inchiesta per corruzione, e del sindaco del Distretto 4 di Bucarest, Cristian Popescu Piedone (UNPR). In Italia, in molte città, i rumeni della diaspora organizzarono manifestazioni di protesta a sostegno di quelle in Romania: il paese si ribellava per quelle morti provocate dalla negligenza, dalla mancanza di controlli e della corruzione che regnava negli stessi organismi di controllo.
Dopo un governo tecnico di transizione, alle elezioni politiche del 2016, il PSD raggiunse il 46%. Sorin Grindeanu fu nominato primo ministro dal presidente Klaus Iohannis che si rifiutò di conferire l’incarico a Liviu Dragnea, condannato a due anni per frode elettorale (aveva gonfiato i numeri delle sottoscrizioni del referendum del luglio 2012 per mettere sotto accusa l’allora presidente Traian Basescu), da scontare in carcere, confermata nell’aprile dello stesso anno. Nel febbraio del 2017, il governo Grindeanu propose l’approvazione di una legge che depenalizzasse i reati di corruzione, abuso d’ufficio e falso in bilancio. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Furono organizzate imponenti manifestazioni, come non se ne vedevano a Bucarest dal 1989. Oltre 700mila persone invasero le strade della capitale. La pressione e la dimensione di quell’evento, anche a livello mediatico internazionale, fece decadere il tentativo di fare approvare una legge vergogna.
Tra incertezze e crisi istituzionali ricorrenti, si arriva al giugno di quest’anno. Dopo la condanna a sei anni di reclusione dell’ex ministro del Turismo, Elena Udrea, per abuso di ufficio e la nuova condanna, sia pur non definitiva, a carico di Liviu Dragnea per abuso d’ufficio e falso in bilancio nell’uso di fondi europei, il governo ha ripresentato una proposta di legge che prevede la riduzione delle pene dei condannati per reati di falso in bilancio, falso in atto pubblico e per la depenalizzazione dei reati di corruzione commessi da membri di un partito per tangenti inferiori a €50.000 euro. Anche a questo tentativo, i cittadini rumeni, della diaspora e residenti, hanno deciso di opporsi con forza. Lo hanno fatto cominciando ad organizzare fin dalla metà del mese di giugno, attraverso i social, una grande manifestazione di protesta pacifica, dandosi appuntamento proprio al 10 agosto, giorno in cui i rumeni della diaspora, tornano in Romania e si riuniscono in Piata Victoriei (Piazza della Vittoria). Marc Filiuta è uno delle migliaia di giovani della diaspora che il 10 agosto era in Piazza della Vittoria per esprimere il proprio dissenso. Marc ha 23 anni, è nato in Romania, ma è residente in Versilia dall’età di 6 anni dove è stato anche segretario dei giovani democratici. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare quanto accaduto nella notte tra il 10 e l’11 agosto in Piazza della Vittoria. Quando ci risponde, lo fa con una voce provata e roca a causa delle molte ore trascorse a respirare i fumi tossici dei gas lacrimogeni sparati sulla folla dalla polizia. Constatate le condizioni, gli chiediamo di rimandare la conversazione, ma Marc sente il bisogno di raccontare, è per lui un dovere morale.
“Quello che è accaduto il 10 Agosto è paragonabile a quanto si è verificato in Romania a febbraio dell’anno scorso e credo che dopo quanto accaduto l’altra notte, resteremo qui finché non otterremo quanto chiediamo. La proposta di legge salva-corrotti è stata ripresentata dal governo in carica con poche modifiche, accampando la scusa del sovraffollamento delle carceri rumene. Questa volta, la proposta di legge del governo prevede la depenalizzazione o la riduzione di pena per reati d’ufficio per i soli membri eletti. Attualmente per i membri eletti di un partito che risultino condannati vige il regime d’immunità parlamentare. Allo scadere del mandato dovrebbero scontare in prigione le pene comminate”.
Il 10 giugno, ci racconta, un gruppo di rumeni residenti a Londra lanciano una campagna social per chiedere le dimissioni del Governo e andare ad elezioni anticipate. Dopo qualche giorno, viene confermata la seconda condanna a carico di Liviu Dragnea. Il messaggio della diaspora rumena di Londra viene rilanciato in Romania da Sebastian Burduja, leader e segretario del partito Pact (Pentru actiunea civica – Patto per l’azione civica dei giovani), 35 anni e anch’egli figlio della diaspora rumena, ma rientrato nel paese. Il video di denuncia di Burduja riceve migliaia di visualizzazioni in poco tempo. Da questa combinazione di eventi ed iniziative social nasce la mobilitazione che ha portato alla manifestazione del 10 agosto. Il successo delle campagne social non era passato inosservato al governo di Bucarest. I diversi tentativi messi in atto per screditare soprattutto la diaspora rumena (tutti falliti) hanno solo ulteriormente rinforzato il movimento deciso a ripetere il successo del febbraio 2017. Il 10 agosto, il governo e le autorità locali, senza un piano di sicurezza e di accoglienza per le migliaia di manifestanti che si sarebbero riversati a Bucarest, optano per la militarizzazione della piazza e delle aree limitrofe. Alle 21, Marc ricorda che Piazza della Vittoria ed i 5 boulevard che vi convergono erano ormai affollatissimi. I numeri del governo parlano di 60.000 persone, nonostante la massa di manifestanti ed il raddoppiamento delle forze di polizia, la circolazione veicolare non viene fermata creando di fatto ingorghi e caos. Quello che accade in piazza nelle ore successive è purtroppo la messa in scena di una caccia al manifestante pacifico. A scatenare la violenta repressione delle forze di polizia sarebbe stato il lancio di pietre e bottiglie ad opera di una cinquantina di ultras della Dinamo Romania, che si erano materializzati tra la folla, mischiandovisi. Marc ricorda che cosa analoga era già accaduta nel Febbraio del 2017. È a quel punto che la polizia comincia a spingere la folla verso la piazza per contenerla e nello stesso tempo intima che si allontanino dagli ultras. Alle 23, vengono sparati i gas lacrimogeni in mezzo alla folla come azione che prepara la carica indiscriminata con l’utilizzo di proiettili di gomma e di idranti. Il bilancio di quella notte è di oltre 400 feriti accertati, di cui 11 poliziotti. Stampa locale ed internazionale hanno condannato l’uso sproporzionato della forza repressiva della polizia, lo stesso presidente Klaus Ioannis si è espresso con durezza senza mezzi termini in tal senso, acuendo ancor di più il conflitto con i vertici del PSD.
Per Marc le manganellate, quella più dolorosa presa in faccia a notte fonda mentre presiedeva la piazza dopo la prima carica, non sono un buon motivo per abbandonare la lotta e tornare in Italia. Lui e gli altri giovani si sentono i nuovi haiduci, i partigiani di oggi che difendono il paese in cui sono nati da chi vuole imporre con la violenza e la corruzione un freno ai sogni. È trascorsa una settimana ormai, Piazza della Vittoria è ancora nelle mani dei manifestanti. A breve presenteranno le sottoscrizioni necessarie per un referendum popolare che imponga la non eleggibilità per chiunque abbia commesso reati penali. Con orgoglio Marc ci dice che per un referendum in Romania sono necessarie 600.000 sottoscrizioni da 21 regioni: in pochi giorni hanno raccolto 628.000 firme da 19 contee. Sono ad un passo dal conseguire l’obiettivo. Resteranno in piazza a lottare. Gli haiduci del XXI secolo chiedono lo scioglimento del Parlamento, elezioni anticipate, l’indipendenza della magistratura e la creazione di un Parlamento unicamerale in cui dovrebbero entrare i rappresentanti della diaspora rumena provenienti da Francia, Italia, Germania, Stati Uniti ed altri Paesi.
Marc ci saluta a telefono e ci ringrazia per il tempo che gli abbiamo dedicato, noi ringraziamo lui, ma prima di attaccare ci dice che il suo cuore è vicino anche all’Italia, il suo pensiero va a Genova: #Rezist Genova.