Prendine un cucchiaino da tè, o un sorso della sua misura, tienilo in bocca senza ingoiarlo e cerca di conoscerlo ed entro dieci secondi il tuo corpo ti dirà se quella cosa vale o no. Sputarla o prenderne ancora. Mah, proviamo. Vero! Che sorpresa. Per me che scrivevo di basket questa regola si può annoverare tra i fondamentali del gioco, quello del gusto però. La tavola probabilmente è il miglior campo di gara, e il corpo il miglior giudice. Io che credo nella totale perfezione della natura, amo il corpo e credo possegga ogni verità – certo quando è libero di esprimersi senza sovrastrutture che siano culturali, educative, sociali, economico-professionali – questo è un fondamentale.
E allora vi presento Michele Di Carlo… il Gustosofo, appena ribattezzato da Vieni a viaggiare in Puglia, appunto, coach Michele Di Carlo. Perché nella vita dovremmo far più e più esperienze e poi farne un ricamo legandole una all’altra, o per restare in tema di gusto fare come facevano le nostre nonne e bisnonne, che di ciò che rimaneva dei pranzi ne facevano un nuovo piatto. La chiamiamo cucina povera, la ricchezza della nostra tradizione. Ricette di vita quelle delle nonne, altroché. E anche in questo Di Carlo docet. In questo progetto chiamato Vieni a viaggiare in Puglia ho il privilegio, l’onore e la piacevole responsabilità di avere coach che stanno arricchendo il mio bagaglio, si parla di viaggi d’altronde, sotto l’aspetto professionale e umano. Oggi ve ne racconto uno. Vi racconterò anche gli atri.
Ho brindato con il filosofo del gusto e ho seduto a tavola come fossi a scuola. E a scuola sono stata. Michele ha un modo di descrivere i sapori tale che davanti ai miei occhi si materializzavano. Ho visto in un bicchiere di vino fiori e spezie e colori dell’infanzia, ho visto in una coppetta di vincotto i fichi essiccati al sole sulle terrazze di Serranova dove viveva lo zio di mio padre, ho visto il momento in cui in cucina il fondo addensava e quasi bruciava, ho visto il camino e la legna arsa in un cucchiaio di ceci neri, ho visto pan di zenzero e tabacco e cannella a Natale, o gli agrumeti della Sicilia, o gli ibiscus rosso fuoco che circondavano la casa di mia zia in Sardegna, in una spruzzata di gin. Sì, in una spruzzata di gin, perché c’è anche questa…il gin che si spruzza come un profumo perché nella filosofia di Di Carlo se devi bere, devi bere con classe. Due gocce di Chanel e Marilyn andava a letto, due spruzzate di gin e il cocktail è perfetto. Non si beve solo con la bocca, si beve prima con gli occhi, poi con il naso e poi la bocca e se funziona quando arriva vicino al cuore te lo dice lui. E apre i cassetti della memoria.
Se arriva: perché ho visto, anzi sentito, la gola chiudersi quando quel qualcosa non era perfetto, “Te lo dice il corpo se va bene” e lo ha detto. Mi ha detto anche quando andava bene invitandomi a deglutire subito per prenderne ancora.
Perché ti sei messo a studiare ogni singolo gusto fino a farne un lavoro? “Perché a 15 anni quando ho fatto la mia prima esperienza dietro al bancone un genio dei cocktail mi fece provare un’opera d’arte. E costava quanto un’opera d’arte. Qualche sera dopo ne provai uno a buon mercato. Decisi che non avrei più bevuto altro che opere d’arte. E cerco di farne e far capire cosa significa bere davvero. Gustare davvero”.
L’idea alla base della filosofia Dicarliana è quella di civilizzare il pubblico del gusto divulgando il verbo del bere “pulito, giusto e sostenibile”. “Maria la passionaria”, con il pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, presidio slow food, “Una ficata” con i fichi salentini appena raccolti ancora caldi di sole, “Puglia colada”per sentirsi caraibico nel profondo sud Italia.
Un percorso di conoscenza dei drink che ti invita a viaggiare sobrio, “devi bere per vivere un’esperienza sensoriale, non per ubriacarti. Quello non è bere”. Le degustazioni di Di Carlo sono capaci di farti bere 5 cocktail e farti superare l’alcool test. I racconti farti superare la soglia del visibile