Mentre Salvini tiene a bada il cervello degli italiani, con la complicità stagionale delle insopportabili ondate anticicloniche africane, tra razzismo, fake news, violenza verbale e fisica, omicidi, ironia, sarcasmo spicciolo e revisionismo ideologico; il M5S si ritrova a fronteggiare l’ennesimo ribaltone carpiato su temi da campagna elettorale che pure ne avevano decretato il successo in alcuni territori e sacche di malcontento. Questa volta si tratta della realizzazione della Tap – Trans Adriatic Pipeline che dovrebbe garantire l’accesso diretto al gas naturale del Mar Caspio: insomma il gasdotto si ‘deve’ fare e non è certo per imposizione del malato terminale PD, ma per le bacchettate dei partner internazionali che le istituzioni italiane hanno tenuto a tranquillizzare, oltre che per far contente le maestranze di casa nostra (e non) in odor di profitti.
Special trainer per lo stretching adatto al ribaltone carpiato è stato il Presidente Sergio Mattarella. Il 18 luglio scorso, esattamente un anno dopo la comminazione delle prime sanzioni amministrative nei confronti degli attivisti No-Tap, il viaggio a Baku e l’incontro con il collega Ilhan Aliyev hanno rinvigorito la partnership commerciale tra i due paesi e l’impegno dell’Italia a non ritardare ulteriormente i lavori per la realizzazione della Tap. Sul groppone italico pesa l’incubo di una maxi penale. La Socar (State Oil Company of Azerbaijan Republic) e la Bp stimano che il ritiro dell’Italia dal progetto costerebbe tra i 40 ed i 70 miliardi.
“Spostarla un po’ più a nord” è la richiesta implorata a favore di media dal Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano “per evitare rischi per i bagnanti su una delle nostre più belle spiagge e per evitare di massacrare la provincia di Brindisi e di Lecce scavando e costruendo un gasdotto di quasi 60 chilometri, peraltro pagato 400 milioni di euro dai consumatori italiani nella loro bolletta per collegare alla dorsale Snam adriatica un’ opera privata che farà guadagnare molti soldi solo ai privati”. ‘Spostarla un po’ più a nord’ sarebbe anche nelle corde del Presidente azero Aliyev, ma questa possibilità paventata al mite Presidente Mattarella è risuonata più come minaccia: le istituzioni azere hanno ricordato infatti, garbatamente, che Austria ed altri soggetti sarebbero già disponibili a sostituirci dopo il pagamento delle miliardarie penali. Nemmeno a parlarne. Il viaggio di Stato del Presidente Mattarella è stato invece un vero e proprio successo commerciale; poco importa se oltre il plauso per la sigla di nuove collaborazioni commerciali ed accordi bilaterali, il Presidente Mattarella non sia andato. In agenda non aveva segnato di richiamare l’attenzione del suo omologo azero sulla questione dei diritti umani violati, né sugli oltre 100 giornalisti, scrittori, blogger ed attivisti detenuti in carcere per averne richiesto il rispetto, né sulla lista nera di oltre 500 nomi di giornalisti, intellettuali, attivisti ed artisti a cui è vietato di recarsi sul territorio dell’Azerbaijan: tra questi 36 italiani, oltre che la nostra Milena Gabanelli.
A mortificare definitivamente le velleità resilienti dei No-Tap ci ha pensato l’altrettanto mite Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in visibilio per la condiscendenza mostrata dal Presidente Donald Trump durante l’incontro a Washington del 30 luglio scorso. La Tap è per gli statunitensi un’importante tassello strategico a livello geopolitico: in termini semplificati comprare il gas dall’Azerbaijan è meglio che comprarlo dalla Russia. In pochi giorni l’Italia cenerentola ha ‘riguadagnato terreno’ anche nei confronti della UE. Le strategie geopolitiche europee sono note da tempo: la ‘sicurezza energetica’ passa dalla costruzione di nuovi gasdotti e dalla diversificazione dei fornitori per sottrarsi a situazioni di crisi quali la fluttuazione di prezzi o l’improvvisa ‘chiusura dei rubinetti’ a causa di eventuali crisi internazionali. Nel caso della Tap è come se si stesse raccontando che Azerbaijan, Georgia e Turchia siano da considerarsi ormai aree geografiche del tutto estranee a possibili future gravi crisi politiche ed internazionali perché ‘sedate’ da democratiche politiche di controllo del dissenso.
In questa infuocata estate, dopo i ‘grandi successi italiani’ e la conversione del M5S alla ragion di Stato, si sente la mancanza in Europa come in Italia di voci istituzionali che spingano con vigore nella direzione di conquista di una reale ‘indipendenza energetica’ e questa non può che passare dalla definizione e dall’attuazione di politiche comunitarie per l’efficientamento energetico, il risparmio, gli stoccaggi e le reti intelligenti, oltre che da una razionalizzazione di concerto sulla produzione delle energie rinnovabili.