In questa estate che ha l’odore dell’urgenza, come se si indossasse ogni giorno lo stesso vestito di sudore e si fosse costretti a rimandare il bagno purificatore dopo un’altra emergenza, Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018 con il suo La ragazza con la Leica, ci prende per mano e ci invita a sfogliare un album di ricordi. Fatti, parole, immagini di un momento storico che alla drammaticità degli eventi rievocati contrappongono l’eroismo della giovinezza, la bellezza e le speranze di una generazione di uomini e donne europei uniti contro il fascismo di allora, anch’esso transnazionale, come quello contemporaneo.
“Opposte ai generali sbarcati dal Marocco con le feroci truppe mercenarie, dall’altra parte gente che desidera difendere quel che sta vivendo” […] “A Barcellona, in quel principio d’agosto del 1936, stanno arrivando in tanti per unirsi al primo popolo d’Europa che non ha esitato ad armarsi contro il fascismo.”
Siamo nella Spagna Repubblicana del Fronte Popolare, legittimamente al Governo, attaccata dalle forze nazifasciste tedesche ed italiane alleate dei 4 generali golpisti Francisco Franco, Emilio Mola, Gonzalo Queipo de Llano e José Enrique Varela e chi non la conoscesse già incontra Gerda Taro, dalle prime pagine, nel racconto di Willy, il Dr. Chardack. Gerda Taro, una esile ed affascinante giovane tedesca, riparata in Francia per sfuggire alle persecuzioni hitleriane, è anche colei che divenne la prima fotoreporter donna a morire su un campo di battaglia. Il 25 luglio del 1937, Gerda Taro era su di un fronte di prima linea insieme al compagno di allora, il fotografo Ted Allan. Mentre i lealisti mitragliavano le truppe repubblicane in ritirata, Taro e Allan si attaccarono ad una macchina che fu speronata da un carro armato repubblicano ormai fuori controllo. Sbalzata violentemente nello scontro tra di due veicoli, Gerda morì in ospedale poche ore dopo, all’età di 26 anni. Divenne una leggenda ed un’eroina perché non aveva desistito, perché quando la battaglia era ormai persa, comunque era sul fronte per essere testimone, essere come esser-ci. Ai suoi funerali a Parigi, celebrati nel giorno del suo 27esimo compleanno, il 1° agosto, parteciparono oltre 10.000 persone. In prima fila, c’era Robert Capa, distrutto dal dolore, il più grande fotografo di guerra di quella epoca.
Il libro di Helena Janeczek è anche il racconto di un amore appassionato e ribelle. Quello che unì André Friedmann, un esule ungherese sfuggito alla persecuzione per il suo attivismo antifascista nel paese di origine, e Gerda Pohorylle, il vero cognome di Taro. Una storia nata a Parigi, fatta di pochi soldi, lavori precari e l’ambizione di consegnare alla storia i propri nomi. Così fu. Gerda sostenne André ed insieme coniarono gli pseudonimi con i quali firmarono le loro fotografie. Robert Capa divenne il fotoreporter icona del 20° secolo prima ancora della sua stessa morte, avvenuta sempre su di un campo di battaglia, nel 1954 in Indocina, all’età di 40 anni. Per recuperare il lavoro di Gerda Taro e scoprirne tutto il valore pioneristico si attesero invece circa 70 anni. Nel 2007, fu ritrovata una valigia in cui erano custoditi migliaia di negativi di fotografie di Robert Capa, Gerda Taro e David Seymour. Nel 2011 fu realizzato un documentario, The Mexicane suitcase, diretto da Trisha Ziff per raccontare il viaggio di quello scrigno prezioso dalla sua scomparsa al tempo della guerra di Spagna al suo ritrovamento nel 2007. Fu anche grazie a quel ritrovamento che il mondo poté apprendere ed apprezzare la Gerda Taro fotografa e consegnare il suo nome nel pantheon dei pionieri della fotografia.
Un Premio Strega, dunque, meritato che ci rende doppiamente entusiasti: celebrare il talento di Helena Janeczek, autrice tedesca naturalizzata italiana, attraverso il racconto della gioiosa e ribelle Gerda Taro.