Mentre il ministro cuor di leone Salvini continua, a modo suo, la crociata anti-immigrati per alimentare l’ignavia dei nazionalisti tastieranti, e mette mano ai ‘contratti’ d’onore redatti in campagna elettorale a partire da quello siglato con l’universo al cui centro brilla il Comitato Direttiva 477; il ministro Di Maio adotta la politica dei due pesi e delle due misure: cerca di accontentare un indefinito ‘quelli’ ed un indeterminato quegli ‘altri’. Il ministro Di Maio qualche giorno fa aveva dato il via libera dell’Italia alla ratifica del Jefta (Japan-EU Free Trade Agreement), l’accordo di libero scambio EU-Giappone, in definizione dal 2013, senza che vi fosse stata alcuna discussione parlamentare ed in contrapposizione con quanto dichiarato più volte in campagna elettorale, oltre che non in linea con quanto definito nel ‘famigerato’ contratto di governo’ penta-leghista.
Dopo qualche giorno, ha invece rassicurato Coldiretti sul destino del Ceta (Canada –EU Comprehensive Economic and Trade Agreement): il parlamento italiano non ratificherà il Trattato e a garanzia della propria parola si è passati alle ormai consuete minacce: “Se anche uno solo dei funzionari italiani che rappresentano l’Italia all’estero continuerà a difendere trattati scellerati come il Ceta, sarà rimosso”. Insomma, il Ministro Di Maio prova a stabilizzare i consensi: guadagnandone là dove ne perde soprattutto rispetto al suo collega leghista. Un No Ceta deciso quindi, a far dimenticare il Sì Jefta di qualche giorno prima.
Il 6 luglio scorso, il Commissario europeo per il commercio, Cecilia Malmström, aveva annunciato l’autorizzazione degli Stati Membri dell’UE alla firma. Dopo il voto del Parlamento Europeo previsto in autunno, il Jefta dovrebbe entrare in vigore all’inizio del 2019. È un accordo a cui la Commissione Europea tiene molto. A parte la segretezza dei termini e delle condizioni, la stessa ha attivato una procedura speciale per permettere ai ministri dell’UE di sottoscriverlo direttamente dai rispettivi paesi, senza prevedere un incontro o una riunione formale. Il Ministro Di Maio aveva prontamente risposto alla chiamata senza vi fosse la minima intenzione a convocare un Tavolo istituzionale di confronto. A denunciare questa grave mancanza era stato il comitato Stop-TTIP Italia e l’intergruppo parlamentare No CETA, formatosi nella passata legislatura.
Il ministro Di Maio aveva tenuto a precisare che “sia noi che la Spagna, insieme alla firma, stiamo inviando delle osservazioni con condizioni precise che riguardano agricoltura, piccole imprese e una serie di interventi necessari”. Rassicurazioni del tutto inutili e prive di senso: il Jefta infatti non è emendabile e tutte le raccomandazioni o dichiarazioni allegate non potranno avere effetti pratici poiché inapplicabili essendo ‘estranee’ al testo del Trattato.
Fu nel dicembre del 2017 che il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker ed il premier giapponese Shinzo Abe annunciarono in una dichiarazione congiunta la finalizzazione del negoziato: Jefta coprirà il 30% del Pil mondiale e coinvolgerà le vite di 600 milioni di persone –peccato non sappiano in che modo. Il Jefta è sostanzialmente la risposta della UE e del Giappone al corso protezionistico guidato dagli USA di Donald Trump, con relativa applicazione di dazi e freno ai negoziati sul TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra UE e USA) e il ritiro dal TPP (Partenariato Trans-Pacifico). Nello scacchiere internazionale, i fautori delle politiche di unificazione dei mercati globali così come i sostenitori delle misure protezionistiche sembra non abbiano a cuore le ricadute in termini di deregolamentazioni, privatizzazioni e liberalizzazioni che vanno a garantire la massima libertà di movimento di capitali, merci e servizi ad esclusivo beneficio dei profitti dei grandi gruppi monopolistici, ovvero i beneficiari del lavoro sotterraneo delle ‘lobby oscure’ di cui i penta stellati hanno spesso detto peste.
Il Giappone eliminerà dazi sul 94% dell’import europeo e sull’82% nel settore agricolo. La UE eliminerà progressivamente, in 8 anni, i dazi all’import di autoveicoli giapponesi. E’ indubbiamente vero che con la riduzione dei dazi sui prodotti agro-alimentari, l’Italia intravede enormi potenzialità di penetrazione nel mercato giapponese; è tuttavia legittimo chiedere al vice ministro Di Maio di riferire, per esempio, riguardo a questioni non secondarie come le possibili ricadute per i consumatori causate da diversi approcci, in termini di limiti di legge, all’utilizzo di residui di pesticidi o ai limiti imposti all’uso di OGM: In Giappone è ammesso un residuo pari al 5%, in Europa è imposto un limite pari allo 0,9 %.
Restiamo in attesa di risposte, oltre che di minacce, che il vice ministro Di Maio non può rimandare poiché investito, per mandato elettorale, del ruolo di paladino di trasparenza, di lotta alle lobby, di sovranità e di accortezza politica, oltre che di coerenza. Alla prima occasione sembrava averlo dimenticato, cedendo al compromesso a perdere con i grandi monopoli privati; alla seconda occasione pure, cedendo alla necessità di consenso facile: dalla politica all’utopia della botte piena e della moglie ubriaca, il passo è tragico oltre che breve.