Un anno dopo il trionfo di Rio, Bebe Vio ha vinto la medaglia d’oro nel fioretto individuale, categoria B, ai Mondiali di Scherma in programma fino al 12 novembre all’Hilton Airport hotel di Fiumicino. “È un’atleta che può fare quello che vuole, riesce a trasformare tutto in energia”, ha commentato Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano Paralimpico, che da anni è impegna a cambiare la percezione della disabilità attraverso lo sport.
Perché i successi in pedana di Bebe Vio travalicano i confini dello sport per ricordare che la disabilità rappresenta non un ostacolo bensì una risorsa per manifestare la propria normalità. Il primo a intuire le potenzialità dello sport di promuovere l’integrazione sociale di chi è costretto a fare i conti tutti i giorni con una limitazione fisica, è stato Ludwing Guttman. Il neurologo tedesco naturalizzato britannico inaugurò nel 1948 i giochi di Stoke Manderville, un paesino vicino Londra, a cui presero parte i reduci di guerra britannici che avevano riportato lesioni spinali. Nel 1960 i giochi per disabili diventarono le prime Paralimpiadi e si svolsero in parallelo, da qui il prefisso para, con le Olimpiadi di Roma. Oggi i Giochi paralimpici non hanno avuto niente da invidiare a quelli dedicati ai cosiddetti ‘normodotati’ e sono arrivati a contare oltre 4000 atleti partecipanti.
Bebe Vio è tra questi. La campionessa italiana, priva di gambe e braccia a causa di una meningite che l’ha colpita a 11 anni, è diventata la prima schermitrice disabile al mondo a gareggiare con quattro protesi artificiali. Alle ultime Paralampiadi che si sono tenute a Rio lo scorso anno, resterà memorabile il grido di esultanza dopo l’ultima scoccata contro la cinese Jingjing Zhou che le assegna il titolo per la vittoria. Un’edizione, quella brasiliana, che verrà ricordata anche per il record di partecipanti, 4350 atleti da 175 paesi diversi.
Eppure si fa ancora tanta fatica a liberarsi dal retaggio di pietismo e ipocrisia che ancora impedisce a molti di noi di guardare a questa realtà da una nuova prospettiva, e quindi di combattere lo stigma. Questo non significa che non siano stati fatti importanti passi in avanti per sgretolare la patina di ipocrisia che avvolge il tema della diversità. Ed è qui che spunta il ruolo sociale che gli sport paralimpici devono avere per cercare di rompere gli schemi sul concetto di disabilità. Le Paralimpiadi di Londra prima e di Rio nel 2016, hanno infatti dimostrato che la gente vuole vedere le gare dei disabili che in queste occasioni diventano contenitori di storie meravigliose di chi è stato capace di capovolgere una condanna all’emarginazione conclamata dalle convenzioni sociali e dall’ignoranza. Ed è per questo che la storia di Bebe Vio piace.
Ai Mondiali di scherma paralimpica ha ricordato che, al di là dell’evento sportivo, le Paralimpiadi sono un’occasione imperdibile per abbattere barriere che non sono solo culturali ma anche architettoniche. “Le sedie a rotelle non passano ovunque, in giro per Roma è un casino, a partire dai sampietrini. Però diamoci da fare e non lamentiamoci che va tutto male”.
Ma non la definite supereroina, perché si sente la ragazza più normale al mondo. In conferenza stampa dopo aver vinto la sua medaglia , la star della scherma paralimpica italiana e mondiale ha rivelato che Jovanotti le ha mandato il suo ultimo singolo, titolato “Oh, vita” e ispirato a lei. “Sono stata felice di sentire l’inedito, ha un testo bellissimo. L’ho canticchiato in testa durante la gara, anche se avevo paura si potesse capire qualcosa: Lorenzo si era raccomandato di non farla sentire a nessuno, è un grande e lo ringrazio”. Così accade che anche non volendo mitizzare la sua figura, Bebe Vio resta un personaggio eccezionale che tutti cercano, perché in grado di sradicare dall’invisibilità le storie di chi compie l’impresa più grande, vivere dignitosamente giorno dopo giorno.