Irene Maiorino ha interpretato Lila per tre anni nella quarta stagione della serie televisiva L’amica geniale, tratta dai romanzi di Elena Ferrante E, a quanto pare, dopo non è più stata la stessa. Durante l’evento “Essere Lila”, ospitato alla Casa Italiana Zerilli Marimò alla NYU, ha raccontato cosa significhi portarsi dentro un personaggio così. “Mi ha fatto perdere me stessa. Ho dovuto tornare indietro a cercarmi. Lei è sempre con me, come un’ombra grande. Mi ha obbligata a chiedermi che tipo di donna voglio essere. Mi ha insegnato una forma di umanità che avevo dentro ma che non sapevo di avere. È stato un viaggio lungo e intenso”.
Il personaggio di Lila, dice, ha una forza particolare. Non ha accesso allo studio, ma capisce da subito che sapere è potere. Cerca di conoscere tutto. «Perché intuisce che è l’unica via per non soccombere. Elena, al contrario, può studiare, ma non trova sé stessa. Io avrei voluto un destino migliore per entrambe”. Racconta l’amicizia come una zona fragile e potente. «Io ho amiche di lunga data, ma non è scontato. Bisogna proteggerla. Credo che la connessione tra donne sia fondamentale per resistere, soprattutto dove lo Stato è assente. Questo legame può salvare vite”.
Parla anche dei sentimenti rimossi. “Tutti provano emozioni negative, ma molti le negano. Questa storia ha avuto successo anche per la sua onestà. Racconta ciò che spesso non vogliamo vedere. Credo ancora nella libertà di parola. Non è una scusa. È solo un modo diverso di dire le stesse cose. Anche questo è parte del genio del racconto”.
Parla anche della condizione femminile nel presente. «Quando una donna ha successo, ancora oggi si insinua che ci sia arrivata per vie non meritocratiche. Sempre sessualizzate. Se ha successo, si chiede: con chi è andata a letto? Se è un uomo, nessuno lo mette in dubbio. È un problema che riguarda anche gli uomini. Sono cresciuti senza poter mostrare fragilità, a temere le emozioni. La frase non piangere come una femminuccia è ancora viva. Perché la donna è ancora simbolo di debolezza».
E insiste su un punto: l’emancipazione è ancora una meta da raggiungere «Molte donne non riescono a riconoscerne l’importanza. Perché sono cresciute dentro quella stessa cultura che le opprime. Anche oggi, nel 2025, l’uguaglianza è lontana. Ma parlare è un primo passo per cambiare».
Torna spesso sul tema della scrittura. «La condizione sociale, anche quando si è poveri, non dovrebbe determinare il valore di una persona. Molti falliscono: perché l’aspettativa li schiaccia. Anche se sei una donna, anche se sei intelligente, è fondamentale poter scegliere la propria strada. Vivere. Come succede a Lila».
Per Maiorino, ogni gesto che rompe l’inerzia ha un valore. «Credo davvero che ogni minuto sia un’occasione per cambiare tutto. Ma non è facile. Serve coraggio. Restare, scegliere di non scappare, significa esporsi. Anche raccontare, condividere, è una forma di resistenza. I libri, la serie, toccano tutto questo: terremoti, corruzione, disillusione. E Lila, se fosse reale, non sarebbe su un palco. Sarebbe tra la gente, nelle strade, tra le madri. Non come simbolo, ma come presenza viva. Silenziosa, forse. Ma vera».