Stefano Amadio, giornalista, direttore di cinemaitaliano.info e amico, ci ha lasciato venerdì 11 aprile. Non saprei dire il giorno esatto in cui l’ho conosciuto, ma da allora ho smesso di pensare alla parola “serietà” come sinonimo di “solennità”. Con Stefano si poteva essere serissimi mentre si rideva di tutto. Bastava un’occhiata per capire che quel silenzio che seguiva la battuta era più importante della battuta stessa.
Non era una persona accomodante. E non lo dico come si fa nei funerali, quando ogni carattere spigoloso diventa “coerente”. Stefano era selettivo, preciso, spietato nelle sue opinioni, ma aveva un senso del gioco che lo salvava da ogni cinismo. Sembrava sapere che l’unico modo per non soccombere al ridicolo della vita era indossarlo bene, il ridicolo. E magari aggiungerci un cappello.
Si capiva subito da che parte stava: da quella delle persone che si guadagnano ogni passo, che non si vendono al primo applauso, e che quando ti dicono che un film fa schifo, lo fanno per amore del cinema, non per posa. C’era in lui un rigore che poteva confondere: qualcuno lo scambiava per durezza, per freddezza. Ma chi lo conosceva sapeva che era solo la versione etica della timidezza: non voleva sprecare tempo. Aveva una strana forma di gentilezza che si capiva in ritardo, tipo le lettere d’amore trovate dopo che ci si è lasciati.
Aveva un senso dell’umorismo che non perdonava nessuno, nemmeno sé stesso. Quando rideva, lo faceva con tutta la testa, non solo con la bocca. Me lo immagino adesso che scuote la testa e borbotta che sto esagerando. E forse ha ragione. Ma non perché la morte lo abbia trasformato in qualcos’altro: semplicemente, era già molto più vivo di tanti altri quando era in vita. A volte il suo modo di stare dentro le cose diventava scomodo, ti costringeva a ripensare le certezze e quando succedeva era impossibile ignorarlo. Perché disturbava le versioni comode. E anche questo, oggi, manca.
Ci sarà un momento per un ultimo saluto. Lui, intanto, starà commentando con la solita ironia l’assenza del rinfresco, oppure facendo due tiri a tennis in un altrove indefinito, aspettando che arrivi un po’ di gente interessante con cui discutere il finale di Quel pomeriggio di un giorno da cani.