Già il giorno dopo l’elezione di Trump, sembrava di essere dentro un capitolo di M. Il figlio del secolo, la serie in onda in otto puntate su Sky. Nel ruolo di Mussolini, un bravissimo Luca Marinelli. L’aria che si respirava negli Stati Uniti aveva il sapore di una pagina scritta da Antonio Scurati:, romanzo da cui il regista Joe Wright ha trovato ispirazione per il progetto. Parliamo di un populismo galvanizzante, avvolto in una retorica che mischia nazionalismo, vittimismo e promesse di rinascita. Ma a ben vedere, Trump non è solo un personaggio controverso della nostra epoca: è il prodotto di un lungo processo storico che affonda le radici in quel “secolo breve” di cui M è una cronaca implacabile.
E allora viene da chiedersi: siamo davvero così diversi dal mondo che M racconta? Come il giovane Benito, anche Trump è il simbolo di una frattura culturale, una figura che catalizza un disagio diffuso e trasforma la crisi in spettacolo. Negli Stati Uniti, come nell’Italia del primo Novecento, il populismo non nasce dal nulla: è il frutto di decenni di tensioni irrisolte, di diseguaglianze crescenti e di un passato mai del tutto elaborato.
Trump, in fondo, è solo l’ultimo episodio di un racconto più grande, uno che ci costringe a guardare con occhi nuovi alle ombre del passato. E proprio come in M. Il figlio del secolo, la storia ci mette di fronte a una scelta: continuare a ignorare queste ombre, o affrontarle prima che diventino il nostro futuro. Perché, come ci insegna Scurati, il populismo non è mai solo un fatto locale: è un contagio che attraversa epoche e confini, cambiando volto ma mantenendo la stessa anima. E Trump, ogni giorno, ce lo dimostra.