C’è una voce che non ha mai smesso di risuonare, neanche nel silenzio degli anni che passano. È la voce di Rosa Balistreri, artista e donna simbolo di una Sicilia dolente, ribelle e profondamente umana. Presentato nella sezione Zibaldone del 42/o Torino Film Festival, L’amore che ho racconta la vita complicata di una leggenda della canzone popolare siciliana: Rosa Balistreri.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Luca Torregrossa, nipote dell’artista, il film diretto da Paolo Licata, che ne firma anche la sceneggiatura con Maurizio Quagliana, Heidrun Schleef e Antonio Guadalupi, ha nel cast ben quattro attrici, Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro, Anita Pomario e Martina Ziami, che prestano il volto a Balistreri nelle diverse fasi della sua vita.
Il film
un’immersione nella vita di questa cantautrice straordinaria, capace di trasformare il dolore in arte e la sofferenza in lotta. Non un semplice biopic, ma un racconto intimo e universale che porta sul grande schermo la complessità di una figura indomabile, in bilico tra fragilità e forza.
Il 1990 segna il tramonto della vita di Rosa, ma non della sua energia. Lontana dai palchi gremiti che un tempo l’acclamavano, si muove tra i piccoli borghi siciliani, cercando di riconquistare il rapporto con la figlia Angela. Una relazione difficile, segnata da incomprensioni e rimpianti, che Rosa affronta con una determinazione quasi disperata. Vive persino in una cantina, pagando un affitto simbolico, pur di trascorrere del tempo con la figlia e guadagnarsi un’altra possibilità.
Intanto, il passato non le dà tregua. Attraverso i suoi ricordi, il film ci porta nella Sicilia degli anni ’30, tra la miseria di Licata, la violenza domestica, e le prime scintille di un talento che sarebbe esploso con potenza. La voce di Rosa diventa il canto dei lavoratori, delle donne oppresse, di un popolo intero. Ma è anche una voce che porta con sé ferite profonde: una sorella uccisa, un padre che si toglie la vita, un matrimonio forzato e violento.
Eppure Rosa non si spezza. Conosce la povertà, ma anche l’anima del suo popolo. La sua musica è un grido di ribellione e amore, un racconto autentico delle sofferenze e delle speranze di chi non ha mai avuto voce.
Con l’incontro di Dario Fo, Rosa entra in contatto con il mondo dell’intellettualità italiana. Franca Rame, Andrea Camilleri, Renato Guttuso diventano parte del suo universo, dando vita a collaborazioni e amicizie che segnano una stagione d’oro. Ma Rosa non è una donna facile da incasellare: è passionale, ribelle, capace di gesti estremi. È una combattente, ma anche una madre tormentata, una figura sempre in bilico tra il desiderio di amare e quello di distruggere ciò che la ferisce.
E mentre il film ci porta dietro le quinte della sua carriera – tra successi clamorosi e un pubblico che, col tempo, sembra dimenticarla – L’amore che ho esplora anche l’anima più intima di Rosa. Una donna che non ha mai smesso di cercare il proprio posto nel mondo, e che fino alla fine ha continuato a cantare, anche quando la voce si spegneva.
La regia di Paolo Licata accompagna lo spettatore in un viaggio che non è solo biografico, ma anche emozionale e culturale. Licata non si limita a raccontare i fatti: costruisce un’atmosfera che cattura la forza di Rosa, la sua modernità, il suo impatto. “Rosa è più di un personaggio,” racconta il regista. “È una voce che appartiene a tutti noi, una testimonianza della capacità dell’arte di trasformare il dolore in bellezza.”
La musica è un pilastro fondamentale del film, curata da Carmen Consoli, che riesce a restituire la potenza di quei brani senza tempo. Non è solo una colonna sonora, ma una parte viva del racconto, capace di far emergere l’anima della protagonista e delle sue battaglie.
L’amore che ho non cerca di idealizzare Rosa Balistreri. La mostra nella sua umanità, fatta di contraddizioni, fragilità, e un’energia inesauribile. È un omaggio non solo a una cantautrice che ha segnato la storia, ma a tutto ciò che rappresentava: una Sicilia che lotta, una donna che non accetta di piegarsi, un canto che non si spegne mai.
Elena è giornalista dal 1994 e vegana dal 2011.
Si occupa di vita in generale, cinema, arte, tennis, diritti degli animali. Quando non è al cinema è in viaggio. Spesso la cosa coincide.
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