Libera, la serie con Lunetta Savino in onda da martedì 19 novembre in prima serata su RAI1 per quattro serate, scava nelle crepe del sistema giudiziario e sul peso di una vendetta che brucia silenziosa e costante. Il progetto incarna il tormento morale di una magistrata, Libera Orlando, che lotta per riconciliare il dovere verso la legge con il suo desiderio di vendetta per la morte della figlia. Qui la giustizia non è un valore assoluto ma una costruzione fragile, sospesa, un’esigenza umana costretta a fare i conti con il desiderio e la disperazione.
Libera non si rifugia in una rigida idealizzazione della legge, ma cerca di piegarla per dare un senso alle ferite. Ogni passo di Libera sonda i margini di una legalità ambigua, un continuo addentrarsi nei luoghi opachi della giustizia, per portare alla luce un dolore che trova risposta solo nella verità.
La Trieste che fa da sfondo è la città delle scelte difficili, degli spazi sotterranei, dei venti taglienti che amplificano il senso di isolamento e perdita. Laddove il cinema italiano ha spesso evitato l’incontro ravvicinato con il dubbio morale della giustizia, la serie vi si addentra a fondo, affermando, come Gramsci nei suoi Quaderni, che la grandezza della giustizia risiede non nel suo rigore, ma nel suo adattarsi alla verità del singolo.
Lunetta Savino si impone sullo schermo con una presenza senza compromessi. L’attrice pugliese non interpreta Libera come una donna in cerca di giustizia, ma come una figura che vive una grande ambizione: quella di ripristinare, con i propri mezzi e limiti, il senso di equità nel proprio mondo. La sua presenza accanto a Pietro, Matteo Martari, ex galeotto che incarna una prospettiva diametralmente opposta, spezza ogni preconcetto e rende chiaro che, a volte, è proprio la giustizia stessa a cercare un compromesso con l’umano. Pietro non è il villain di turno, è piuttosto la voce disillusa di chi, fallendo e soffrendo, ha compreso che spesso le verità ufficiali non bastano.
Ciò che conta in Libera è la lotta di un individuo che, con tutte le sue contraddizioni, sa che la vera giustizia si fonda non su un ideale irraggiungibile, ma sull’empatia verso le storie complesse e dolorose che la giustizia dovrebbe servire. In una scelta consapevole, il regista Gianluca Mazzella decide di non costruire il solito racconto di eroi e antagonisti ma un manifesto di tutte quelle persone che, per rispetto della verità, osano agire anche ai confini dell’ombra.