Certe notti sembrano non finire mai. Il caldo soffocante di Ferragosto ti avvolge come una cappa opprimente, e l’apatia si insinua lentamente tra le corsie silenziose di un ospedale. È proprio in queste notti, dove l’ordinario si trasforma in straordinario, che il destino sceglie di giocare le sue carte più imprevedibili. La Scommessa – una notte in corsia di Giovanni Dota, presentato alle Notti Veneziane, si colloca perfettamente in questo scenario, proponendo una commedia nerissima che si muove sul sottile confine tra il grottesco e il tragico, trasformando una monotona notte di Ferragosto in un’esplosione di eventi imprevedibili e surreali.
In sala dal 12 settembre con I Wonder, premessa narrativa del film è di una semplicità quasi diabolica: due infermieri, Angelo e Salvatore, interpretati da Carlo Buccirosso e Lino Musella, sono di turno in un ospedale deserto. Il loro compito è vegliare su un paziente, il signor Caputo, che sembra avere le ore contate. Angelo, disincantato e cinico, è convinto che l’uomo non sopravviverà fino all’alba. Salvatore, altrettanto disilluso, è pronto a scommettere il contrario. Così, i due infermieri stringono una scommessa che diventerà il catalizzatore di una serie di situazioni tanto assurde quanto drammatiche.
Dota ha raccontato come la produzione sia stata segnata da un anno di difficoltà, non solo legate alla logistica ma anche alla sfida creativa di rendere interessante una storia che si svolge tutta in un’unica notte e in un unico luogo. “Sapevamo fin dall’inizio che avremmo dovuto affidarci a tecnici capaci, poiché alcuni elementi funzionavano sulla carta ma dovevano trovare un giusto equilibrio una volta che i personaggi prendevano vita”, ha spiegato. Questa sfida è stata affrontata con un approccio che potremmo definire “teatrale”, dove ogni dettaglio dell’ambiente e del tempo ha giocato un ruolo cruciale nella creazione dell’atmosfera.
Il ritmo del film è volutamente cadenzato, come un orologio che ticchetta inesorabile verso l’alba, e i dialoghi, serrati e pungenti, riescono a tenere alta la tensione pur strappando risate amare. “Volevamo che si percepisse la noia dei protagonisti senza annoiare lo spettatore”, precisa il regista. La sfida era quella di raccontare la noia senza annoiare lo spettatore, e il risultato è una danza delicata tra momenti di stasi e improvvise accelerazioni narrative, come un’onda che si ritrae solo per tornare a travolgere.
Angelo e Salvatore non sono eroi, ma anti-eroi di una tragicommedia umana, intrappolati in una routine che ha eroso la loro umanità fino a ridurla a cinismo e indifferenza. Eppure, proprio in questa notte fatale, la loro apatia li spinge a scelte estreme, rivelando il loro lato più oscuro. Come ha raccontato il regista, inizialmente la storia avrebbe potuto prendere pieghe ancora più cupe, con i due protagonisti che arrivavano persino all’omicidio, ma è stato deciso di mantenere una chiave ironica per non appesantire eccessivamente il tono del film.
Un ospedale deserto durante il periodo di Ferragosto si trasforma in un luogo in cui la vita sembra rallentare fino quasi a fermarsi, e dove il tempo assume una qualità diversa, surreale. Questa scommessa, nata quasi per gioco, si rivela presto essere qualcosa di molto più complesso: non solo un pretesto per sfuggire alla noia di una notte infinita, ma anche un modo per esplorare quel sottile confine che separa la vita dalla morte, il faceto dal tragico.