One to One: John & Yoko di Kevin Macdonald, fuori concorso a Venezia 81, restituisce l’essenza di un momento storico attraverso il prisma delle vite di John Lennon e Yoko Ono.
Il 1972 è stato un anno di fratture e tensioni, non solo per Lennon e Ono, ma per una società in bilico tra la speranza e la disillusione. In questo contesto, la scelta della coppia di trasferirsi a New York non fu semplicemente un cambio di residenza, ma un vero e proprio atto politico. Il documentario si immerge in questa realtà, mostrando come la metropoli non fosse solo un rifugio dalla stampa britannica, ma un campo di battaglia per le loro idee. Tuttavia, viene da chiedersi se il film riesca davvero a esplorare la complessità del loro impegno politico o se, in fondo, non si limiti a un’idealizzazione un po’ superficiale.
Il cuore del documentario è rappresentato dai concerti One to One al Madison Square Garden, eventi iconici che segnano l’unica esibizione completa di Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles. La dimensione pubblica si sovrappone a quella privata della coppia. Le immagini intime, tratte da archivi personali, mostrano un lato di Lennon e Ono che raramente è stato esplorato nei media mainstream. Vediamo la loro quotidianità, i loro momenti di vulnerabilità, ma anche le loro aspirazioni artistiche.
Il contesto politico dell’epoca è un altro elemento fondamentale del documentario. Lennon e Ono non erano solo osservatori passivi, ma attivisti convinti che cercavano di utilizzare la loro fama per influenzare l’opinione pubblica. Li vediamo protestare con forza contro la guerra in Vietnam e criticare senza mezzi termini il governo Nixon, il presidente più odiato e discusso della storia moderna americana. La sua amministrazione fu un disastro: intercettazioni, false prove, corruzioni, amicizie tradite, e naturalmente il “Watergate”. Il film non esplora abbastanza le contraddizioni di questa posizione: un miliardario rock star e un’artista d’avanguardia che tentano di rappresentare le istanze di una classe lavoratrice sempre più alienata. Quanto c’era di autentico e quanto di performativo in questo attivismo? Questa è una domanda che il documentario solleva solo in parte, lasciando allo spettatore il compito di trarre le proprie conclusioni.