A pochi giorni dal compiere 18 anni è sola con un bimbo di sei mesi in una casa occupata: è il racconto di Lala, priva di identità o meglio di documenti, motivo per cui i servizi sociali tenteranno di portare via suo figlio. Nata e cresciuta in una campo rom della Capitale, i suoi genitori, migranti rom provenienti dalla guerra in Jugoslavia, anch’essi sprovvisti di certificati non possono aiutarla. La ragazza tenterà di risolvere la sua irregolarità dentro una illegalità di fatto che diviene riflessione sociale e antropologica nella ricerca della citta’(dinanza. Ma in fondo cosa sappiamo di Rom, Sinti, Caminanti insomma degli “zingari”?
La nostra parafrasi edotta può parlare di gitani o nomadi ma il quotidiano percepito è l’arrangiarsi disperato in non luoghi legati al degrado.Vincitore del premio Mymovies, assegnato dal pubblico in anteprima, in Concorso alla 41esima edizione del Bellaria Film Festival del 2023 e del Premio Corso Salani nella 35esima edizione di Trieste Film Festival, la regista Ludovica Fales mette in scena, in questa sua opera prima, ibrida per forma e contenuto, un notevole processo creativo, fondando l’intero film sul mostrare “teatralmente” allo spettatore la rappresentazione della vita che rimanda all’oscillare di identificazione e distacco.
Nel culmine drammaturgico con madre e figlio sospesi la voce della regista fuori campo, interrompe l’azione e chiede a Samanta Paunković (l’attrice non professionista che la interpreta) se e cosa suscita, sovrapposta ad esperienze reali, in lei quella scena. Da questo momento, caduto definitivamente il “muro immaginario” , lo spettatore stravolgendo il giudizio sulla messa in scena animata da attori non professionisti, trasferisce l’ascolto al racconto dei personaggi che tra realtà e finzione spingono su una verità costituita e ibridata di voci che appartengono a dei giovani immigrati di seconda generazione.
Partendo dalla ricerca e strutturato in maniera acuta Lala alterna testimonianze a drammatizzazioni: Zaga Jovanovic, la ragazza dalla cui vicenda è nato tutto il progetto del film. Zaga, nata e cresciuta in Italia ,in un campo rom, dopo aver compreso che la sua pratica per ottenere la cittadinanza italiana non sarebbe andata a buon fine è partita clandestinamente per la Serbia, dove ha ottenuto la cittadinanza della sua famiglia d’origine, per poi tornare in Italia e chiedere il permesso di soggiorno. Nell’essere ancora in attesa di un permesso di soggiorno permanente si descrive il limes dell’appartenenza nazionale ma anche di Genere.
Secondo i dati del 2019 In Italia rom e sinti sono circa 150.000, in gran parte stanziali in Italia dal medioevo. Il tasso di criminalità non è diverso dagli altri italiani. I problemi riguardano i rom recentemente giunti in Italia in condizioni di profughi, costretti a sopravvivere in veri e propri campi di segregazione. Non avendo quasi mai la possibilità di avere un lavoro normale – ovviamente nessuno assume un rom proveniente da un campo profughi – con un numero molto alto di minori (nei campi il 50% della popolazione ha meno di 16 anni) scarsamente alfabetizzata, è evidente che vi siano tassi di micro criminalità più elevati della media .
Dobbiamo infine, considerare che questa minoranza, costretta a sopravvivere in condizioni disastrose, in Italia è davvero minoritaria, appena lo 0,25% della popolazione, ovvero la percentuale più bassa d’Europa. Pare quindi incrinarsi la criminalizzante narrazione univoca dei Media che usualmente dipinge il degrado di una “Comunità Rom” ignorandone le multiformità del “campo” cullturale delle tante comunità abitate da diverse storie e relazioni sociali originate da diverse latitudini europee e slave. Questo film è un’opera aperta in linea con altri esperimenti di docu-fiction dal valore sociale.
Oltre la vittoria di Bellaria e Trieste ha ricevuto la menzione speciale per il documentario alla XV edizione di Ortigia Film Festival e risulta ora in selezione ufficiale ai Nastri d’Argento Documentari per la sezione Cinema del Reale. Una significante e simbolica special track musicale con “Il Mio Nome è Lala” di Assalti Frontali. Per raccontare questa Storia, Fales fa riferimento alla sua formazione accademica della National film and television school di Londra e a quella di un cinema antropologico che si sviluppa anche grazie al teatro dell’oppresso di Augusto Boal. Parla di desiderio di una identità legata alla cittadinanza, alla statualità, proprio mentre un Mondo globalizzato- specie quello occidentale- riscopre le piccole patrie, i confini e le barriere.
Una forma di stato nazionale che richiede che i diritti siano collegati alla dichiarata comunità nazionale. Certamente attraverso i comportamenti sociali in una koiné ibridata nella periferia romana o nella subcultura mediatica delle multiformi identità, vissute da ognuno dei ragazzi che ha partecipato al progetto: sono sì italiani ma pure rom e culturalmente legati al Paese di provenienza dei loro genitori.
Un docufilm passaggio ulteriore nella ricerca di sostanza politica nell’opera, costruito pazientemente su tre piani, dai materiali di archivio di dieci anni fa fino ad arrivare ai tre anni di riprese(con un team quasi esclusivamente femminile) delle prove di laboratorio teatrale con un cast molto giovane. Dirigendo, documentando una nuova generazione di cittadini senza diritti, documenti e cittadinanza. Una conoscenza composita che ci sembra suggerire l’ineluttabilità di un processo storico meticcio dove l’unico nomadismo certo è quello della verità.