Antropologa, medico legale, anatomopatologa, Cristina Cattaneo ha ridato un nome e un’identità ai corpi dei sessanta migranti morti nel più grande naufragio il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia, con oltre 900 dispersi, un’impresa quasi impossibile. E non solo a loro: al Labanof di Milano lei e il suo team sono impegnati nella continua ricerca di restituire identità e dignità ai morti senza nome, senza dimora, sexworkers, scomparsi. Dare quindi risposte alle loro famiglie, dare pace ai morti. A questa impresa, in un braccio di ferro costante con la burocrazia, tra autopsie, incroci di dati e database che non si parlano, è dedicato il film “Sconosciuti Puri (Pure Unknown)” di Valentina Cicogna e Mattia Colombo presentato per la sezione Concorso Internazionale al Biografilm Festival che ha voluto sostenere la battaglia di Cristina e del suo gruppo di lavoro assegnandole il Celebration of Lives Award 2023.
Abbiamo parlato di “Puri sconosciuti” con i due autori, Valentina Cicogna e Mattia Colombo.
Come nasce l’idea di questo film?
Valentina Cicogna: “Ha radici lontane nel tempo. Fondamentalmente io sono una montatrice di documentari da tanti anni e sono anche sceneggiatrice. Stavo scrivendo un film di fiction ed era prevista una scena di autopsia. Per esser di non esser scrivere sciocchezze e avendo in mano i libri di Cristina Cattaneo, sono andata all’obitorio a contattarla. Venivo dal lutto profondo per la perdita di mia madre, un processo che mi ha accompagnato per anni con domande sulla fine di una esistenza. A contatto con Cristina, abbiamo parlato molto dei morti senza nome e il pensiero di questa storia è rimasto con me a lungo. Mi ha permesso di capire che io stavo vivendo un privilegio. Non ci avevo assolutamente pensato. Sono passati anni prima di mettere a fuoco come
questo pensiero potesse diventare un film. In qualche modo questa idea è affiorata, e portando i libri di Cristina a Mattia abbiamo cominciato a lavorarci”.
Stiamo parlando di cose della vita molto importanti. Il vostro film si concentra molto sulla ricerca dell’identità, che riguarda la dignità della persona su cui si indaga, ma nello stesso tempo c’è anche il tema di permettere alle famiglie di avere risposte sui propri cari?
Mattia Colombo: “E importante se questo si evince dal film, legando lutto e identità. Si tratta di un percorso durato 8 anni, e anche noi siamo entrati dentro questo tema pensando più all’identità delle persone sconosciute, per poi scoprire poco alla volta che è giusto identificare le persone per la dignità di chi non c’è più, ma anche per dignità e rispetto dei vivi. Tu spettatore arrivi a questa consapevolezza alla fine, quando vedi la storia di una donna che cerca la sorella da 25 anni e attende una risposta. Quando si cerca di identificare uno scomparso a volte si sente dire ‘perché dannarsi tanto per i morti, quanto c’è tanto da fare per i vivi?’. In realtà ci si sta occupando dei vivi”.
“Puri Sconosciuti” può essere definito come un documentario di osservazione. Ci spiegate questa scelta?
Mattia Colombo: “E’ un po’ quello che ci piace fare sempre. Lavoriamo da tantissimi anni insieme per trovare una nostra voce. Ci piace stare nelle situazioni, non ricorriamo ad interviste, seguiamo la vita di tutti i giorni, anche dentro sala autoptica ci affidiamo agli accadimenti e narrazione. Il cinema di osservazione è anche di condivisione, è creare una relazione con le persone”.
Valentina Cicogna: “Creare una relazione è stato fondamentale soprattutto con Cristina e il suo team. Abbiamo rispettato completamente la loro intimità e quello che non vogliono che arrivino all’esterni, non compiamo forzature”.
Vogliamo spiegare come fa la professoressa Cattaneo a compiere un’indagine a partire dal corpo, che è certo la mappa di ciò che ci è accaduto nella nostra vita ed è ciò che ci rimane addosso – mi viene da pensare a “Ain’t no” di Nina Simone. Ma come ricostruire l’identità a partire dal corpo?
Valentina Cicogna: “E’ un processo complesso, che parte sempre da un lato della storia. Un lato della storia è quello che riguarda il corpo senza nome e l‘altro riguarda la ricerca della persona scomparsa. Si tratta di mettere insieme i due lati della storia. Cristina non sarebbe tenuta a occuparsi di persone scomparse, basterebbe fermarsi a un esame superficiale per quello che viene richiesto. Invece lei fa un esame molto più approfondito, che va a cercare qualsiasi segno chirurgico o trauma, uno studio antropologico. Con il suo team inseriscono gli esiti in un database appositamente creato. Sono autorizzati a farlo, anche se non sarebbero tenuti a farlo e spetterebbe ad altre figure. Dall’altra metà della storia c’è la denuncia delle persone scomparse, che reca di solito dati anagrafici molto blandi. Anche questa parte dovrebbe finire anche nel database, ad opera di chi raccoglie l’esposto, ma spesso accade che non venga fatto”.
E queste inadempienze sono un problema, ma di chi è il database, dell’Interno?
Valentina Cicogna: “Sì, e questo database permette l’incrocio dei dati. Andrebbe fatta quindi una grande sensibilizzazione, sulle forze dell’ordine, medici legali e tutti gli operatori di giustizia. Ancora più problematica è la situazione quando la denuncia fatta in un paese che non è l’Italia, come nel caso dei migranti scomparsi. E questo è un problema, perché, come dice Cristina, dal punto di vista scientifico con il database sarebbe una ricerca possibile”.
Con queste difficoltà la professoressa Cattaneo è riuscita a restituire il nome a persone sconosciute?
Mattia Colombo: “Sì, ce l’ha fatta. Se ci sono state 60 persone identificate nel grande naufragio del 18 aprile 2015 lo si deve a lei, costruendo una rete attorno al Labanof, solo diffondendo la voce attraverso associazioni. Esiste una realtà e una rete che si mobilitano e sono in grado di raccogliere dati prima della morte, per far combaciare i due lati della storia. E se pensiamo ad oggi a quanto accaduto a Kalamata…”
Veniamo allo stile del film documentario. Come mai la scelta di una cifra da crime story?
Valentina Cicogna: “E’ una cifra che in realtà pratichiamo anche per una serie che stiamo realizzando. Ci ispiriamo alla grammatica del film di finzione e alle storie dei personaggi veri. Una cosa che abbiamo realizzato attraverso questo lavoro, è che attraverso la medicina legale, mondo non molto conosciuto, si apre una porta per comprendere uno stato di salute di una società. La medicina legale ti può dire molte cose sul tipo di violenza che c’è in giro, sullo stato di diritto, è uno specchio della società. Abbiamo cercato di utilizzare in questo senso delle atmosfere crime, per indirizzare verso una cosa che va oltre”.
Mattia Colombo: “E poi Cristina è un po’ una detective, è costretta a colmare dei vuoti giuridici processuali per trovare delle possibilità di dare delle risposte. È molto difficile stabilire i confini tra chi fa cosa e sono confini labili quelli su cui si muove lei per trovare risposte”.
Cristina Cattaneo, il vostro personaggio è stata scelta per l’Oscar del Biografilm Festival, Celebration of lives Award…
Mattia Colombo: “Siamo contentissimi e onoratissimi. Abbiamo sempre avuto il desiderio che il suo lavoro venisse riconosciuto!”.
In qualche modo “Sconosciuti Puri” è anche un manifesto a sostegno dell’impegno della professoressa Cattaneo per un protocollo operativo da adottare a livello europeo per rispondere a esigenze umanitarie?
Mattia Colombo: “Desideriamo che sia uno strumento perché la politica possa trovare delle soluzioni, perché esista un database europeo in cui sia possibile confrontare dati, denunce di scomparsa, persone migranti con i dati post mortem. E’ un’operazione tecnicamente molto semplice ed scientificamente provato che è possibile identificare le persone attraverso questi dati. Come dice Cristina, manca solo la possibilità di farlo”.
L’Audience Award | Concorso Internazionale, premio per il miglior film del Concorso Internazionale, va a Sconosciuti Puri di Mattia Colombo e Valentina Cicogna. Il documentario è dedicato alla figura della Dottoressa Cristina Cattaneo che da anni si impegna affinché la dignità dei defunti venga rispettata.