In “Laggiù Qualcuno mi Ama” sceneggiato da Anna Pavignano, che con Massimo Troisi scriveva i suoi film, e presentato alla Berlinale 2023, Mario Martone ha voluto mettere in luce Troisi come grande regista del cinema italiano prima ancora che come grande attore comico, e lo fa attraverso lo stesso Troisi, le sue parole e le sue immagini.
“Dell’attore s’è detto tanto, e ho sempre trovato giusto che da questo punto di vista parlando di lui venisse spesso evocato Eduardo“, racconta il regista di Nostalgia, il film con Pierfrancesco Favino che tanto successo ha riscosso tra pubblico e critica. “La sua recitazione aveva un fraseggio inconfondibile, quella qualità che distingue i grandi attori come i grandi jazzisti. Ma sulla qualità «cinematografica» dei suoi film, così spesso incompresa (anche nella sua città) si riflette poco, ed è ingiusto. Oggi che esiste un risveglio del cinema napoletano, proprio lui manca all’appello, che ne è stato l’ispiratore, e non come padre (figuriamoci se a Massimo poteva piacere una retorica «paterna») ma come fratello maggiore“.
Nel film si intrecciano alcune conversazioni con artisti che hanno amato Troisi e ne sono stati influenzati, come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, critici che lo hanno studiato, come Goffredo Fofi e la rivista Sentieri selvaggi, e due tra gli artefici della sua opera postuma, Il postino, Michael Radford e Roberto Perpignani. Tutti a testimoniare come l’arrivo di Troisi in un momento critico per il cinema italiano abbia portato una ventata di aria fresca, una comicità nuova, priva di etichette e non in grado di definirsi.
Dal film emerge chiaramente come Troisi sia stato l’artefice di un cambiamento di prospettiva su Napoli. Martone lo inserisce tra i “Non allineati”, nel senso di un personaggio che ha costruito un qualcosa a parte, una storia diversa dalle altre, che ha proposto una napoletanità allegra, profonda e mai volgare. Ricomincio da tre, il film che proiettò Troisi da cabarettista di successo in tv all’olimpo dei giovani registi italiani degli anni Ottanta, racconta di un giovane napoletano che si trasferisce a Firenze in un momento in cui la sua città deve affrontare il post-terremoto e il terremoto della crescente emancipazione femminile. Il giovane protagonista viene percepito come il classico giovane del sud che cerca fortuna al nord, ma la visione cambierà nel corso del film quando spiegherà che non è la fortuna ciò che cerca, quanto una nuova forma di comprensione della realtà.
Ma è con Scusate il ritardo e Non ci resta che pingere, che Massimo Troisi sovverte la narrazione introducendo elementi ironici e grotteschi. La spiccata napoletanità, la recitazione rarefatta e l’abilità espressiva mimico-gestuale danno vita ad un cinema in cui ironia, controsenso e malinconia convivono alla perfezione. Troisi riflette su temi universali che scivolano però sulla sua stessa persona, sui suoi principi, sui suoi valori, sulle sue esperienze. Primo tra questi, l’amore, punto di partenza per raccontare la rabbia, l’ indignazione, l’ impotenza di vivere in una società sempre più banale, più vuota, più consumatrice di evasioni.
“Laggiû qualcuno mi ama” sintetizza un poetica complessa, e fornisce soprattutto chiavi di interpretazione efficaci per capire più a fondo il cinema di Massimo Troisi, dove la perenne indecisione del suo personaggio riflettono le contraddizioni presenti nell’uomo.
“È possibile che ancora oggi dobbiamo sentirci schiavi dei discorsi sulla «compiutezza formale“? Il cinema di Troisi – conclude Martone – si esprimeva per frammenti, per soprassalti improvvisi, alternava pieni e vuoti, ora era acceso, ora era stanco. Il cinema di Troisi era bello perché aveva la forma della vita”.