Un film dedicato al palcoscenico, agli anni ’90 e a tutti quelli che, all’epoca, hanno fatto un corso di teatro o non si perdevano una puntata della serie televisiva “Saranno Famosi”. Ecco, sommariamente, si potrebbe dire che il suo ultimo lavoro Valeria Bruni Tedeschi l’ha scritto per loro. E un po’ per lei perché, come tutti gli altri suoi film, Forever Young – Les Amandiers si basa sulla sua esperienza personale di vita che poi lei sa “rielaborare, romanzare, mescolare, fondere e reinventare” per proporci film sognanti e al tempo stesso sofferti.
“Il racconto di un tempo intenso e libero” l’ha definito Mymovies e forse questa è proprio una bella intuizione per un’opera che viene ambientata nel 1986, quando si tengono le audizioni per entrare alla scuola di recitazione del Théâtre des Amandiers di Parigi, il cui direttore artistico era Patrice Chéreau.
Quel teatro esiste davvero, così come è esistito Chéreau che lo dirigeva e che, insieme a Pierre Romans (interpretato dal brillante Micha Lescot), aveva creato in quella sede il centro francese della recitazione moderna – con un metodo di recitazione che – insieme a quello di Lee Strasberg all’Actors Studio newyorkese, dove nel film i ragazzi vanno in trasferta – forse fu quello più importante dell’epoca.
Valeria Bruni Tedeschi tutto questo lo sa bene, perché quella scuola l’ha fatta lei stessa e proprio lì si è formata come attrice: “In Forever Young, si parla della mia famiglia nell’ambito del lavoro, della mia famiglia artistica. Oserei anche dire che Chéreau è un po’ come mio padre in ambito lavorativo” racconta nelle note di regia. Infatti, fu proprio Chéreau a fare esordire la Bruni Tedeschi a Cannes con il suo film Hotel de France (guarda caso) nel 1986…
E il film propone le vicende di un gruppo di dodici talentuosi ragazzi che entrano nell’accademia e sono chiamati a confrontarsi con il vorticoso incedere della vita e le sue esperienze, affascinanti e terribili, che appunto la loro giovane età, energia e passione li porta a sperimentare tutte le più varie esperienze formative e condividendo amore, sesso, litigate, delusioni, droghe e tragedie (“Guerre interiori che danno forza al film”) avvolti nel sacro fuoco della recitazione alla quale sono chiamati per portare in scena, come primo lavoro, il Platonov di Čechov.
“Questa scuola è stata per me un capitolo fondamentale, sia nel lavoro che nella vita. Le persone che ho incontrato e le esperienze che ho vissuto lì hanno lasciato un’impronta profonda su di me che permane ancora oggi. Abbiamo deciso di fare delle interviste a degli ex studenti: li ho contattati uno a uno e ci siamo incontrati. È stata una gioia, ho avuto la strana sensazione che il tempo non fosse mai passato. Sapevano che il film sarebbe stato frutto della fantasia, che avremmo modificato la realtà e che i loro nomi non sarebbero apparsi. Sono stati tutti molto generosi con le loro storie. Queste interviste sono state estremamente preziose per la realizzazione del film” spiega la regista per la prima volta impegnata solo dietro la macchina da presa e ha rinunciato alla recitazione.
“Il tempo trascorso sul palco, il fatto di avere un ruolo da protagonista o di supporto contano poco, ciò che conta davvero è il lavoro che si fa non la presenza in scena” è la frase che dice il mentore Chéreau, interpretato da un sempre credibile Louis Garrel, anche lui allievo di Chéreau (“Non voleva imitare ma piuttosto trasmettere, incanalare Chéreau. E anche, credo, parlare di lui” segnala la regista): e proprio questa frase racchiude la dedizione che i ragazzi dedicano non solo al teatro, ma al modo di prendere la vita. Perché la generazione degli Amandiers era anche quella degli anni dell’AIDS, quando la malattia falciava le vite di migliaia di giovani. “Era davvero l’era di Eros e Thanatos. È questo che abbiamo provato, mentre scrivevamo la sceneggiatura. Volevamo mostrare l’energia della giovinezza, sfiorando la tragedia. Nel film c’è l’attrazione costante di queste due forze opposte che sono la vita e la morte” dice Bruni Tedeschi.
E la pellicola (a cui è collegato un bel documentario sul dietro le quinte) questo sa ben proporre coadiuvata anche da una colonna sonora che mescola musica classica con musica pop e classici del rock’n’roll: brani che rappresentano delle “vere e proprie ossessioni” della regista, come ad esempio ‘Me & Bobbie McGee’ di Janis Joplin che non a caso contiene la frase culto “Libertà è solo un’altra parola per indicare che non c’è più niente da perdere”.
Nel caleidoscopico fluttuare di emozioni nel quale vivono gli interpreti, spiccano le vite di Stella (Nadia Tereszkiewicz ritenuta una delle nuove leve più promettenti del cinema francese), vero e proprio alter ego della regista e la complessa figura di Etienne (Sofiane Bennacer), che può richiamare alla memoria dei fan più affezionati, il fratello scomparso prematuramente della regista: “Vorrei citare alcune righe che Noémie (Lvovsky) ha scritto nella dichiarazione dello sceneggiatore, e che sembrano esprimere proprio questa idea: “Grazie alla finzione, le persone diventano personaggi e poi, grazie agli attori, questi personaggi tornano a essere persone. E queste persone, che sono vive e presenti davanti alla macchina da presa, permettono che il passato che riposa dentro di noi non venga mummificato, ma che invece sia vivo e torni ad essere parte del presente. Solo la finzione può strappare i ricordi dalla nostalgia”.
Insomma, il film come i precedenti è parte integrante della vita della Bruni Tedeschi che, oltre alla regia, cofirma la sceneggiatura con le colleghe Noémie Lvovsky e Agnès de Sacy. “Credo fermamente nei film che hanno un subconscio, ossia delle connessioni più o meno visibili che attraversano un film, dandogli profondità e qualcosa con cui il pubblico si relaziona. Tutto questo, tutte queste connessioni invisibili mi fanno venire le lacrime agli occhi. Faccio film per evocare tutti i fantasmi che sono dentro di me” chiosa.
Forever Young – #LesAmandiers, dopo essere stato presentato al festival di Cannes e aver chiuso la festa del cinema di Roma, esce nelle sale il 1 dicembre