La memoria culturale a breve termine di Internet può rigettare nel passato verità scottanti. Molti giovani potrebbero non aver mai sentito parlare della fotografa Nan Goldin tanto meno dell’impero farmaceutico Sackler, entrambi ricontestualizzati e intrecciati nell’ultimo documentario di Laura Poitras, All The Beauty and The Bloodshed, presentato in concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Alla fine del film, chiunque non abbia familiarità con questa storia non potrà dimenticare non solo il nome di Goldin, ma anche il suo fervente attivismo per le vittime della crisi degli oppioidi. Sebbene il film approfondisca anche la sua storia come artista visiva e le sue esperienze all’interno delle comunità queer della New York City degli anni ’80, queste presentazioni impallidiscono rispetto all’impegno che ancora oggi dedica perchè giustizia sia fatta.
l film inizia con una protesta vigorosa al Metropolitan Museum of Art. I membri del gruppo di difesa di Goldin, Prescription Addiction Intervention Now (P.A.I.N.), iniziano ad accalcarsi attorno a un fossato di fronte al Tempio di Dendur del museo. La mostra egiziana si trova nella “Sackler Wing”, rendendola un luogo perfetto per far rumore.
.Mentre i manifestanti iniziano a cantare (“I sackler mentono, le persone muoiono!”), centinaia di flaconi di pillole arancioni vengono gettati in acqua, ciascuno con etichette appena stampate che richiamano l’attenzione sulle 200.000 vite perse a causa della dipendenza e dell’overdose. La minimizzazione del problema da parte dei Sackler ha giocato un ruolo importante nell’esplosione del problema causato dalla dipendenza da oppioidi; poco dopo questa scena, apprendiamo che la stessa Goldin è “scampata per un pelo” alla morte dopo aver combattuto la sua stessa dipendenza da OxyContin.
Le sue potenti manifestazione di attivismo sono catturate da una forte macchina da presa a mano libera. Goldin si sente come una delle poche figure pubbliche che non fa prigionieri, partecipando attivamente alle proteste e viene anche arrestata. Molti le attribuiscono il ruolo di forza trainante per convincere molti musei a tagliare i legami con la famiglia Sackler (incluso, alla fine, The Met).
Nonostante il suo comportamento umile, la sua interpretazione in questo film è quella di una forza rauca. I moderni tentativi di sconvolgimento sociale – cercare di abbattere i Golia che sono le innumerevoli strutture e istituzioni corrotte che hanno rovinato l’esistenza umana – possono spesso sembrare urla nel vuoto. Le urla di Goldin risuonano e si frantumano; catturarlo su pellicola è a dir poco elettrico. Poitras ha trovato uno dei pochi soggetti in forse tutto il documentario che può fornire una palpabile sensazione di vittoria e cambiamento.
Questo non vuol dire che sia stata fatta giustizia: la fine del documentario evidenzia come il fallimento e l’eventuale accordo di Purdue Pharma abbiano permesso ai Sackler di cavarsela. È tragico, soprattutto perché ciò che vediamo in tutta la durata del film e nello spettatore cresce l’indignazione e la sete di vendetta.