Presentato in anteprima alla Semaine de la Critique durante il Festival di Cannes 2021, “Gli amori di Anais” è un film francese, per la regia di Charline Bourgeois-Tacquet al suo esordio dietro la macchina da presa che vede protagonista Anaïs Demoustier, Valeria Bruni Tedeschi e Denis Podalydès, distribuito da Officine Ubu.
E’ la storia di un triangolo, o forse di un quadrilatero, dove lui ama lei che non ama più lui, vorrebbe farsi amare da un altro lui ma scopre di amare lei. Una trama all’apparenza semplice ma che cela una grande rivoluzione, quella della libertà e della conquista che le donne si sono prese alle spese di una società ancora troppo maschilista nel pensiero e nell’atteggiamento.
Se nella prima parte è protagonista Anais, la giovane 30enne irrisolta alla costante edipica ricerca del padre nei suoi fidanzati, nella seconda è decisamente Emilie, una matura ed indipendente scrittrice (Valeria Bruni Tedeschi) a rubarle scena e scettro del femminismo. Tra le due scatta qualcosa, è un attimo, un desiderio, un’intensità, una curiosità, un turbinio di emozioni ignote e totalizzanti a portarle l’una fra le braccia dell’altra.. C’è una scoperta nuova, una possibilità imprevista che esclude l’umanità maschile e che per una volta sembra quietare l’elettrica Anais. Ma è nel finale, a sorpresa, e che non sveleremo, la vera chiave del film, la vera dichiarazione d’amore della donna a sè stessa. Siamo lontani dall’estetica indimenticabile di Carol di Todd Haynes o di altri amori al femminile della storia del cinema, ma se il grande schermo deve raccontarci storie per farci sognare, riflettere od imparare, questa è certamente una di quelle che meritano di essere viste.
Da parte mia non avevo mai incontrato Valeria Bruni Tedeschi prima della settimana scorsa, e l’impressione è davvero quella di una persona matura, consapevole, risolta e serena nella sua pelle di madre, attrice, compagna e tutti i ruoli che ricopre nella vita quotidiana.
Un’intervista che parte con le scuse dell’attrice che, come già accaduto con La fracture, non è riuscita a doppiarsi nella versione italiana.
“Per me è stato un dolore non poter finire il mio lavoro, né per La fracture nè in questo film – ha detto – Non ci sono riuscita per una questione di uscita. Bisognava doppiare il film nel mese di gennaio e stavo montando il mio film. Ho chiesto che si spostassero le uscite, per poter finire il mio lavoro. È una cosa che ho imparato a scuola e mi spiace non aver onorato i film come volevo, non aver onorato il mio lavoro di attrice. È una cosa che mi fa piangere, che mi dà vergogna. Non so in futuro come risolvere questa cosa. La colpa è dell’organizzazione genarle, ma mi sento responsabile di non aver finito il mio lavoro“.
Nelle sale in cui il film sarà in versione originale, sentirete invece la bella, roca e profonda voce dell’attrice italo francese.
Come detto il film punta il dito anche sulle differenze di età, in questa triangolazione lei-lui-lei nella quale ad avere la meglio è solo chi di sè ha maggiore consapevolezza. Perchè non è vero che l’amore si vive diversamente, ma è vero che avere una centratura consente esperienze differenti.
“Anaïs, ha un’energia e un’ansia della giovinezza che la fa correre – sottolinea ancora la Tedeschi – ma è paradossalmente il mio personaggio ad avere più serenità, più leggerezza. Non è vero che i personaggi giovani sono più leggeri. Emilie ha questa serenità che le dà una certa speranza. La mia idea è che invecchiando si vada verso l’alto, non sia una caduta. Emile non decide mai contro sè stessa come gli altri protagonisti del film, ogni sua scelta è frutto di una vera libertà”.
Anche la bellezza è un concetto che fa capolino tra le righe, dove la gioventù è sinonimo della stessa. “È una parola che per me non ha a che vedere con l’estetica di oggi, con la moda, con ciò che si considera bello oggi – continua Valeria – come quando un bambino punta il dito e dice: bello. In filosofia ci sono stati secoli di riflessioni su cosa è bello. È qualcosa che ha a che vedere con l’energia, è qualcosa di spirituale. Bello è qualcosa di gradevole che mi arriva addosso. Un’abitudine che ho preso è che mi guardo meno allo specchio. Così ho l’età che mi sento, non quella che vedo”.
Il suo lavoro con Cherau cosa le ha lasciato?
“Un’etica del lavoro che non ho trovato altrove, una capacità di di dare sempre di più al personaggio, una cosa che mi accompagnerà per tutta la vita, un vero maestro anche nella cose negative, perchè non è che non ne avesse. Ho cercato di non farne un Dio ma di trarne solo cose positive. Lui amava per esempio lavorare sulle nostre vergogne, i nostri difetti, la nostra stupidità, il nostro ridicolo, tutte cose che nella vita guai a far vedere ma con lui sul palco potevamo esprimerci liberamente, e questo rimane impagabile”.