Hai presente quei film che se te li proponessero non vedresti mai, nemmeno sotto tortura? Forse anche solo perché è la parola stessa ‘docufilm’ che male si propone e, soprattutto mal ti propone alla visione de “L’acqua, l’insegna la sete – Storia di classe”.
E invece la proiezione diventa un ‘regalo’ e Valerio Jalongo, dopo il successo di “Il senso della bellezza”, conferma il suo talento dietro la telecamera tornando a parlare di scuola, a distanza di un decennio dal suo “La scuola è finita”.
Il film, nei cinema dal 22 novembre, è il racconto fatto dal prof Gianclaudio Lopez che insegnava al mitico Istituto cine e tv di Roma, zona Garbatella, intitolato a Roberto Rossellini: tra il 2004 e il 2007 con la sua classe, la prima E, ha dato vita ad un progetto che consisteva nella creazione di un video-diario che, per tre anni, avrebbe consentito agli studenti di raccontarsi attraverso l’uso di una telecamera.
A distanza di 15 anni proprio Jalongo è tornato a trovare il Professor Lopez e alcuni suoi ex studenti, insieme al direttore della fotografia Massimo Franchi che era professore di ripresa durante gli anni del video-diario, e da una troupe di studenti attuali o diplomati al Rossellini.
E in questi tre lustri i quindicenni di allora sono arrivati a compiere trent’anni e a confrontarsi con una vita che li ha portati lontano, se non lontanissimo da quei giorni di scuola scanditi da lezioni tra le mura scrostate della loro classe.
Il confronto tra passato e presente è una disamina sulla realtà, sulla vita e come questa ci cambia: ed è proprio il titolo a rappresentarlo in modo inequivocabile, ossia quel verso della poesia di Emily Dickinson che il docente propone ai ragazzi durante l’insegnamento come riflessione per un tema.
La poesia vale la pensa di leggerla tutta: L’acqua, la insegna la sete. La terra, gli oceani trascorsi. Lo slancio, l’angoscia. La pace, la raccontano le battaglie. L’amore, i tumuli della memoria, Gli uccelli, la neve.
Questo per dire che spesso o quasi sempre le cose belle, per comprenderle, hai bisogno di compiere un percorso fatto di sofferenza e di dolore che ne evidenzia il valore: è questo la strada di alcuni dei ragazzi ripresi a distanza che il prof. Lopez ora in pensione sente il bisogno di ritrovare e sapere cosa è rimasto di quegli anni passati insieme.
Parte così alla ricerca dei suoi alunni, trentenni, e porta loro in dono i temi che ha conservato per scoprirne e disvelarne la storia e proporcene sei (più una) su tutte: Lorenzo è diventato un prestigiatore e fa l’elfo per i sorrisi dei bambini; Jessica, abbandonata dal padre in tenera età, assiste gli anziani in una casa di cura e ci rivela il suo carattere e la sua ricchezza interiore seppur maltrattata. Poi ci sono Gianluca e Corinna che in quella I E erano coppia fissa e che, non a caso, hanno realtà simili: lui pota gli alberi che “Come i bambini non sanno difendersi dagli umani”, lei fa la dogsitter perché è “un’amica degli animali” da quando si è richiusa in sé, perché con gli esseri umani ha sempre fatto fatica ad aprirsi. Corinna si commuove rileggendo il suo tema, una lettera a Gianluca dell’epoca, che a distanza, è una testimonianza della sua natura.
Tempi scanditi dal niente, eppure essenziali, ci portano a continui passaggi tra l’attualità e il girato di scuola.
E poi, tra i protagonisti di questo racconto tra 2004 e 2019, conosciamo anche la storia c’è Yari, che ha avuto una madre tossicodipendente da cui ha voluto staccarsi e ora fa il cuoco in una tavola calda con una figlia di 5 anni a cui si dedica anima e corpo. E c’è Ana Bandoiu di cui oggi vediamo solo la data della lapide che ci racconta che ha vissuto appena 24 anni, mentre le immagini la ricordano sorridente. Yari della sua morte non si è mai ripreso.
Da ultimo vediamo Alessio, che sognava di diventare calciatore e oggi sbarca il lunario come magazziniere e gioca a poker sportivo. “La scuola mi ha dato tanto ma io non le ho mai dato nulla” dichiara.
Attenzione però: nemmeno per un’istante il film scivola nel patetico o nel pietistico. E’ solo un racconto con tutta la sua cruda bellezza e l’amore di un insegnante per i suoi ragazzi, che trasmette qualcosa a tutti noi spettatori: perché Lopez, paladino del gruppo di giovani che difende a spada tratta dinanzi agli altri docenti, ha conservato tutto di quella classe nei suoi archivi. Lo vediamo accarezzare quei temi, gli originali che non avrebbe potuto tenere, e dedicare tanto lavoro e buona volontà alla loro causa. Eppure “Solo la metà della 2E è arrivata in terza. Alcuni sono stati bocciati, altri hanno cambiato istituto. Molti hanno abbandonato la scuola per sempre” recita una didascalia. Nessuno tra i ragazzi fa il mestiere per il quale la scuola lo aveva preparato: eppure ognuno di loro, come tutti, è cresciuto trovando piccole e grandi capacità per impostare un proprio percorso.
Il film – che ha partecipato a numerosi festival internazionali e ha ottenuto la nomination come miglior film al 56° Solothurner Filmtage, ed è stato premiato come Miglior film Giuria giovani a Visioni dal Mondo, Miglior Film e Miglior Sceneggiatura alla 22esima edizione di Inventa un Film – può sembrare, forse, un ritratto della sconfitta di buona parte della italica scuola, ma è anche un piccolo gioiello per gli occhi e un omaggio raffinato all’amore per l’insegnamento.
Ecco allora che, per un Yari ad un certo punto dice: “Soffro e odio tutti: perché io sì e gli altri no? E mi dispero. Perdo i miei petali” e Antonio, giocando a calcio, tira una punizione alle stelle, c’è una Corinne che salva un pappagallo e una Jessica che si emoziona per la bellezza della pioggia sul mare.
Nel finale, mentre in sottofondo suonano i “Tre minuti” dei Negramaro, gli operai scrostano le pareti della classe, levano via disegni, caricature, frasi e ricordi di ogni tipo.
“Come continueresti la tua frase?” chiede il professore durante la lezione: l’acqua insegna la sete, gli uccelli la neve.