Preceduto dalle polemiche su Instagram, che aveva addirittura rimosso il poster ufficiale del film (mal ve ne colga piattaforme sociali che abusate di stupidi bot), finalmente al Lido si svela l’arcano con la visione, attesissima, di Madres Paralelas, l’ultima opera del geniale Pedro.
Lo scorso anno al Lido il regista spagnolo aveva detto di voler fare solo mediometraggi, quasi corti. Promessa, per fortuna non mantenuta. In questi 120 minuti di deliri al femminili incontriamo un regista in forma, incline al perdono di ogni aspetto dell’umano, nostalgico e romantico verso un passato che deve essere recuperato per fondare comunque il proprio futuro.
“Sono interessato adesso alle madri imperfette, alle madri che hanno avuto casi complesse e ricchi di sofferenza”, ha detto il regista in conferenza stampa. “Le madri che ho descritto nei miei precedenti film erano differenti, ispirate molto alle donne che ho incontrato nella mia vita. Il personaggio di Penelope è molto intrigante a causa delle grandi difficoltà che incontra nella sua vita”.
Come era facilmente prevedibile non c’è nulla di nuovo né di assolutamente imperdibile, ma è la mano dell’autore che comunque si muove agile in una storia intricata e dagli incredibili risvolti che ci fa proseguire nella visione. Oltre alla bravura del cast che a partire da Penelope Cruz per proseguire con Milena Smit e la feticcio Rossy De Palma non perdono un attimo per ricordarci la loro eccellenza. Doveva esserci anche Ana Taylor-Joy ma poi non se n’è fatto più nulla.
Le storie di Almodovar hanno sempre un senso, un senso più grande, intendo, che va oltre la mera trama. Qui c’è la maternità come ideale umano, come evento che ci vuole fondamentalmente tutte madri (e padri, più o meno assenti) anche se i figli non sono i nostri, è un atto di amore verso l’umanità e la perpetuazione della specie, poter considerare ognuno un nostro figlio verso cui abbiamo delle responsabilità. Innanzitutto farli crescere bene, circondati d’amore, anche quando siano frutto di incontri casuali o di violenza (sempre che non si sia deciso per l’aborto, ma qui Almodovar afferma senza ombra di dubbio la sua scelta pro-vita).
C’è la casualità delle relazioni, c’è il caso, che poi caso non è mai, di come alcune scelte siano dettate da altre e di conseguenza il destino possa o non possa compiersi se si procede o meno con il dire la verità. C’è il desiderio complice, tutto femminile, di esplorare un sentimento che vada oltre la mera maternità, che sconfina anche in altro e come quell’altro, se non ricambiato, possa comunque trasformarsi in reciproca vicinanza e rispetto.
Sempre in conferenza stampa, il regista ricorda che in Spagna la memoria storica è una questione in sospeso. “La società spagnola ha un debito nei confronti dei desaparecidos che sono sepolti in fosse comune. Un argomento per me sempre molto importante. la legge di Zapatero del 2007 è incompleta. Siamo arrivati alla generazione dei nipoti e pronipoti che chiedono di riesumare quei corpi e questo è sorprendente”.
C’è la ricerca, quasi furiosa, di recuperare il passato che è diventato un ossessione da far riemergere. Ci sono nonni e bisnonni che attendono di essere dissepolti attraverso degli scavi che restituiscano agli antenati antifranchisti la degna sepoltura attesa da troppi anni. Non è possibile dormire in pace sapendo che chi ti ha dato alla luce riposa fucilato in un campo, è un atto dovuto di pietas cristiana che il romantico e caritatevole Pedro lascia alla fine, chiudendo il capitolo con tutto e con tutti.
Si respira tranquillità e senso di comunità, una pace ritrovata, un senso di famiglia allargata umana, comunque sia.