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RFF15 – Fortuna, l’esordio alla regia di Gelormino racconta l’infanzia abusata dagli adulti

Elena Marcheggiano Dal Forno by Elena Marcheggiano Dal Forno
21 Ottobre 2020
in Cinema
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RFF15 – Fortuna, l’esordio alla regia di Gelormino racconta l’infanzia abusata dagli adulti
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Il 24 giugno 2014 una bambina di soli 6 anni, Fortuna Loffredo, muore scaraventata di sotto dall’ottavo piano di un palazzo del Parco Verde di Caivano alla periferia di Napoli. Qualche mese prima, il 27 Aprile del 2013, era stato Antonio Giglio, di soli 4 anni, a perdere la vita nello stesso modo, scaraventato di sotto dal terrazzo di casa. Due tonfi sordi, mortali ed impressionanti. Dentro un quadro oscuro di degrado, miseria, droga, ma soprattutto, di abusi, sessuali e non, sui minori come l’inchiesta svelerà, ma solo successivamente. Un’inchiesta che ha portato alla luce vari particolari, alla condanna di Raimondo Caputo detto Titò, ma non del tutto ancora conclusa e chiarita, tanto che il padre di Fortuna crede che il vero assassino sia ancora libero.
 Si poteva affrontare questo racconto partendo quindi dalla secca cronaca e ricostruire la vicenda, o ridare a Fortuna un’altra prospettiva, renderla immortale, quasi aliena, finalmente libera e felice lontano da quei Giganti brutti e neri che sono gli adulti nella loro forma più perversa.
Questa è stata la scelta di Nicolangelo Gelormini che esordisce in maniera eccezionale alla regia della sua opera prima. Laureato in Architettura, è stato a lungo assistente di Paolo Sorrentino, al quale ha sicuramente carpito – magnificamente – i trucchi del mestiere, inquadrature, ritmo, montaggio, sensazioni. C’è uno spettro emotivo ed uditivo, di straniamento, di follia, di alienazione, di non appartenenza, di sdoppiamento costante che anima tutto il film. ll regista sceglie con coraggio di reinterpretare tutta la storia, liberando Fortuna dalla mera materialità, indagando invece il sogno, il gioco, la sensazione di essere bambino in un mondo di adulti che sono difficili da comprendere.
” Immaginare che lo spettatore potesse provare gli stessi sentimenti di Fortuna – racconta Gelormini –  è stata l’ambizione che ha guidato me e Massimiliano Virgilio nel leggere l’inferno imprigionato in questa storia. Non solo il tragico caso di una bambina di sei anni, scaraventata dall’ultimo piano del suo palazzo dopo ripetuti abusi, ma l’esegesi di un tradimento. Del desiderio di tutti i bambini di essere amati, tradito dagli adulti. Un desiderio che riaffiora nella mente di chiunque, a tutte le età, in ogni angolo della Terra. Fortuna non è stata tradita da una sola persona, ma dal mondo intero che la circondava. Un universo difficilmente circoscrivibile a Parco Verde, ma in agguato ovunque, purtroppo. Un tradimento atroce, paragonabile solo a quello inferto da chi ci ha dato la vita: il tradimento della madre. L’adesione a questo sentimento non ci ha consentito di rappresentare i veri personaggi della vicenda, che nella realtà hanno incarnato altri ruoli e pensieri – a cominciare dalla vera madre di Fortuna, che qui non è stata affatto rappresentata – ma di estrarre il seme dal frutto e reimpiantarlo in un terreno nuovo, fertile, foriero di immagini e emozioni. Durante il suo viaggio s’imbatte nella madre che le chiede di fidarsi lei e le infligge, invece, il colpo di grazia. Il dramma è quello di una società intera contro cui il mondo dell’infanzia va a sbattere, quando la sua innocenza viene profanata. Una collettività buia, incapace di leggere le gradazioni dell’animo umano, arenata a un modello binario che divide il mondo in maschi e femmine, buoni e cattivi, forti e deboli, potenti e indifesi, e che non lascia scampo a tutto quel fiorire di vita che c’è nel mezzo. In quest’ottica, il film ha inevitabilmente assunto la forma del numero due: dalla struttura in due atti, alle inquadrature spaccate a metà, al racconto della realtà riflessa nel mondo interiore di Fortuna. La scrittura ci ha liberato dalla coercizione dell’orrore e ci ha consentito di ridare vita a questa piccola condottiera. Ha vendicato Fortuna, rendendola un personaggio eterno che affronta ogni giorno il suo mostro senza morire mai. L’ha trasformata in un sogno e l’ha condotta su una stella inventata appositamente per lei, per illuminare gli occhi dello spettatore e placare il mio cuore. Proprio questa struttura spezzata crea l’estetica stessa, ogni inquadratura è fatta per tradire lo spettatore come questi bambini sono stati traditi dalle loro madri. Lo spezzamento consente di traghettare lo spettatore da una parte e la narrazione dall’altro, è un sentimento atroce che volevo suscitare negli spettatori”.
Un’estetica anche pittorica, che richiama Hopper, Hockney, Bacon e naturalmente architettonica data la formazione del regista, che trova in questi palazzi andati a male di Caivano le sue gabbie ideali per far muovere leoni e domatori, una bolla subumana dove niente è più come dovrebbe essere e come sembra.
L’escamotage è quello di far vivere Fortuna attraverso il suo alter ego Nancy (Cristina Magnotti), una bambina che si crede sia stata rapita e portata sulla Terra per errore, ma in realtà abitante del pianeta Tabbis dove deve rientrare stando però attenta ai Giganti, questi uomini cattivi che vogliono impedirle il ritorno. Insieme ai suoi compagni di gioco Nancy/Fortuna trova un terreno fertile per dar vita ai suoi sogni non sapendo di condividere con loro un tremendo segreto e un tragico destino. Dall’altro lato una madre che cerca di esserci (Valeria Golino) e una psicologa distratta (Pina Turco) che diventano addirittura intercambiabili (madre inesistente e psicologa attenta) in un gioco di ruoli inutile, perchè tanto, il risultato, terribile, non cambia. Salti temporali, scambi di persone, ricostruzioni sfalsate, avulsione completa dalla realtà o dalla cronologia, cosa passa veramente nella testa e nel cuore di un bambino abusato? In un crescendo costante di svelamenti, la verità arriva solo alla fine, con un cenno della testa appena pronunciato, con timidezza e forse vergogna, perchè di queste cose bisogna stare zitti.
“La dolorosa verità su cui si basa il film – afferma Valeria Golino – non è stato il motivo per il quale ho accettato di farlo, anzi poteva essere un deterrente. E’ stato proprio questo modo di raccontare la vicenda che fin dalla lettura della sceneggiatura mi ha portato a volerci essere”.
La capacità di Gelormini è quella di rendere Fortuna un’icona della purezza, un’eroina, una Giovanna d’Arco immolata. L’immagine finale in cui la ragazzina cammina all’indietro volendo andare verso la Terra ma in realtà salendo al cielo resterà impressa a lungo al termine di 108 minuti leggermente troppo lunghi, se vogliamo davvero trovare un difetto a questo esordio dietro la macchina da presa a dir poco impattante.
Il film uscirà in Italia distribuito da I Wonder entro la fine dell’anno ed è stato patrocinato da Save the Children, associazione che si opera per restituire all’infanzia i suoi diritti.
Tags: fortuna loffredogelorminoopera primaValeria Golino
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Elena Marcheggiano Dal Forno

Elena Marcheggiano Dal Forno

Elena è giornalista pubblicista dal 1994 e vegana dal 2011. Si occupa di vita in generale, cinema, arte, tennis, diritti degli animali. Quando non è al cinema è in viaggio. Spesso la cosa coincide. Scrive anche sul Corriere della Sera.

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