“Chi si serve pubblicamente delle parole mette in movimento mondi interi e nel piccolo spazio compreso tra due righe si può ammassare talmente tanta dinamite da far saltare in aria questi mondi”.
Così Heinrich Boll, premio Nobel per la letteratura nel 1972, ammoniva oltre 40 anni fa. A cosa può condurre l’uso distorto dei mezzi di comunicazione di massa e la violenza insita in certo linguaggio mediatico che oggi assume i toni spesso barbari di certi giornali di regime o dei commenti nei social. Non c’è da stupirsi se questo conduca perfino all’omicidio.
Lo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore tedesco analizza proprio la forma sottile in cui una giovane donna, Katharina Blum, si trasforma da irreprensibile domestica a complice di un criminale, fino a diventare lei stessa un carnefice.
“Quasi sette ore che vago per la città, cercavo rimorsi, non li ho trovati. Ho ucciso quell’uomo. Mettetemi in prigione”. E’ l’incipit scioccante di una Katharina che ormai disperata si consegna alla giustizia. Il testo teatrale, adattato meravigliosamente da Letizia Russo, rispetta la forma del romanzo, iniziando dalla fine e andando a colpi di flashback a ricostruire l’incredibile vicenda che spinge la donna all’atto omicida.
La giovane conosce ad una festa Ludwig Gotten, un criminale ricercato dalla polizia, forse un terrorista. Se ne invaghisce e passa la notte con lui favorendone, forse totalmente inconsapevole, forse no, la fuga. Interrogata dalla polizia con la quale collabora ma non del tutto, viene in realtà travolta dalla stampa scandalistica impersonata dal giornalista Werner Totges, uno squalo pronto a tutto. Violando la privacy di Katharina, manipolando informazioni e abilmente comunicandole con titoloni ad effetto, il giornalista monta un caso contro la donna facendola apparire un’estremista, forse una terrorista, sicuramente una persona da emarginare dalla società. A quel punto la donna, esasperata e con la forza di chi solo sa che gli è rimasto poco da difendere, attira il giornalista con uno stratagemma e ne causa la morte.
Ma non è certo la fine di quella vita a zittire le voci, perchè come diceva già Rossini ne Il Barbiere di Siviglia:
un’auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s’introduce destramente
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo
prende forza a poco a poco,
vola già di loco in loco;
sembra il tuono, la tempesta
che nel sen della foresta
va fischiando, brontolando
e ti fa d’orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia
e produce un’esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
un tumulto generale,
che fa l’aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
per gran sorte ha crepar.
Boll critica ferocemente una società subito pronta a condannare, uno Stato che non difende e non protegge i suoi cittadini, una stampa che si occupa di ingigantire i fatti senza verificarli usando un linguaggio greve e carico di luoghi comuni. Di un’attualità impressionante che oggi chiameremmo “fake news” o “macchine del fango”.
“Anche davanti ad un semplice fatto di cronaca si continua a condannare sempre, prima di ogni verifica – dice il regista Franco Però – trovo imbarazzante che sia ancora così. Questo mi ha indotto a riflettere su chi ha saputo intuire e raccontare tutto ciò, analizzarlo in modo organico, raccontare di come il solo trovarsi nel luogo sbagliato, con la persona sbagliata, possa innescare la gioia di un comunicatore in malafede. Boll già aveva capito la via che avremmo imboccato”.
Infine una nota di merito va ad un gruppo di attori italiani semplicemente strepitosi, Elena Radonicich, ormai superstar della televisione, è un’autentica, magnetica, Katharina Blum, Peppino Mazzotta è l’avvocato Hubert Blorna, e poi gli attori del Teatro Stabile del Fruli, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Jacopo Morra, Maria Grazia Plos.
Lo spettacolo va in scena al teatro Eliseo di Roma dal 3 fino al 15 dicembre, con orario martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00 mercoledì e domenica ore 17.00, primo sabato doppia replica ore 16.00 e 20.00