Dopo il film Apache del 2013,Thierry De Peretti, regista Corso torna a narrare le vicende della sua isola con Une vie violente, una storia cruda, a sfondo politico, basata sulla vita di un militante politico dell’Armata Corsa, Nicolas Montigny, brutalmente ucciso nel 2001.
Autore della sceneggiatura insieme a Guillame Bréaude, il cineasta pone al centro della storia Stéphane, un giovane borghese di Bastia e il suo clan rivoluzionario nazionalista. De Peretti pone luce su un determinato periodo storico della Corsica che coincide con la fine degli anni’90. Non è sicuramente la fase più eroica del nazionalismo ma è sicuramente quella che può suscitare più reazioni. Il regista specifica che è bene tener ben distinte la visione dei protagonisti e quella del film; De Peretti non abbraccia in alcun modo i principi su cui si è basato il movimento radicale dell’Armata, anzi – precisa – “il nazionalismo può portare alla guerra”. In più nella pellicola cerca di spiegare come spesso i militanti non avessero piena coscienza di quello che facevano; erano solo giovani allo sbando che cercavano una identità. Nonostante il film non si avvale di attori noti o professionisti, le scene, soprattutto quelle di gruppo, appaiono estremamente naturali e realistiche.
De Peretti ha iniziato il casting un anno e mezzo prima delle riprese vere e proprie, appena terminata la sceneggiatura. Si è trattato di un “casting sauvage” ovvero di un casting selvaggio.
Le parti da interpretare erano molte, trattandosi di un gruppo ed era importante seguire una certa coesione narrativa. Avendo ben chiaro il soggetto e la storia, si inizia a lavorare sulla regia, sottoponendo gli interpreti a una sorta di workshop, come se non ci fosse un inizio e una fine ma avvenisse tutto simultaneamente. Gli attori posizionati davanti alla camera da presa, si esercitavano con i dialoghi e prendevano confidenza col personaggio, anche attraverso la gestualità e l’espressività del corpo. L’obiettivo era quello di creare un gruppo coeso, una visione comune. Alcune scene venivano scritte il giorno prima e provate quello seguente, come se l’intero film fosse un processo in divenire, in cui non esiste un “prima” e un “dopo”. Questo processo creativo che il regista è solito utilizzare può anche non portare alla realizzazione di un film ma che di per sé è un’espressione artistica, la possibile attuazione di una pellicola o, in taluni casi, può rappresentare un qualcosa di distinto, un’opera a se stante, seppur intrinsecamente connessa al film stesso.
Sulla sceneggiatura i due autori, De Perretti e Bréaud hanno lavorato in maniera fluttuante, riportando in modo preciso interviste televisive o amatoriali fatte al capo dell’Armata Corsa ma anche affidandosi a un modo di raccontare meno filologico e più creativo che andasse al cuore dei fatti.
Per il regista il nazionalismo è un concetto superato che, il più delle volte, viene usato solo per fini economici o di potere. Il nazionalismo non aiuta le nazioni anzi le conduce alla guerra. L’identità è fluttuante, qualcosa di intimo che non può appartenere a un popolo intero. Se ci si concentra sulla questione identitaria, ci si impegnerà sempre a “correggere” ciò che è altro, diverso, generando solo disastri. Tuttavia in Corsica si parla di un nazionalismo moderno che non si basa solo su principi ma è fortemente legato al popolo. Questo perché la Corsica ha tradizioni e una struttura sociale che non la rende paragonabile ad altre isole. Del resto le storie non sono intercambiabili e le circostanze vanno analizzate nel loro tempo e nel loro contesto, altrimenti si genera solo confusione.