“Fare un film indipendente è già un problema di per sè, farlo in Israele e Palestina diventa 100 volte più complicato ancora” ha detto il regista palestinese Muayad Alayan, intervenuto a Roma a presentare il suo “SARAH e SALEEM – là dove nulla è possibile”. Una storia di amore extraconiugale che diventa improvvisamente un caso di stato. Anzi di due Stati.
Sarah è un’israeliana che gestisce un bar a Gerusalemme Ovest, moglie di un colonnello dell’esercito che viaggia continuamente per lavoro. Saleem un fattorino palestinese che vive a Gerusalemme Ovest, sposato con una donna la cui famiglia diventa sempre più invadente. Entrambi cercano una fuga dalla realtà quotidiana che consumano dentro il furgoncino di Saleem. Incontri casuali e complici prima di rientrare nelle loro case dove assumono il ruolo che appartiene loro in quella società. Madre amorevole, moglie devota, marito presente, cognato impeccabile. Non sappiamo se si amano o no, sappiamo solo che improvvisamente la realtà li travolgerà per sempre. Una “banale” fuga a Betlemme, dove nessuno li conosce, solo per bere una cosa, rilassarsi un po’.. si trasforma in un caso politico che va oltre le capacità di immaginazione per noi, pubblico occidentale abituato allo stato di diritto. Per loro, una realtà con la quale fanno i conti ogni giorno. Lo stesso regista per esempio racconta che vive a Gerusalemme, ma la sua compagnia cinematografica è a Betlemme e ogni giorno passa il check point perché una legge impedisce ad un palestinese di avere un’impresa commerciale in Israele.
“La storia nasce da due episodi di vita vera, dice Alayan. Il primo quando ero un adolescente a Gerusalemme est, mentre cercavo un lavoro a Gerusalemme ovest, dove ci sono più possibilità, lavorando come barista o in hotel, e ho visto molti rapporti tra persone dell’est e ovest, spesso nascosti e celati. Persone che giocavano col fuoco perché potevano nascere problemi da un momento all’altro, anche molto gravi. Il secondo episodio è quando l’esercito israeliano invase la Cisgiordania e acquisì moltissimi dati e documenti che riguardavano tutte le persone. Rapporti di polizia, di intelligence ma anche i semplici voti scolastici delle persone. E così molti vennero arrestati, anche solo per aver lavorato per il governo palestinese. Ci fu un proliferare di fake news, anche solo per potersi vendicare. È da lì che sono partito, pensando a cosa sarebbe potuto succedere a una di quelle coppie che avevo conosciuto”.
Muayad Alayan ha deciso di realizzare il film perché questa storia di infedeltà esprime bene quella che è la vita a Gerusalemme, anche se potrebbe verificarsi ovunque. “la differenza è che in questi luoghi ha delle conseguenze tremende, impatta la vita, la sicurezza della gente, come in nessun altra parte del mondo. Il sistema così rigido a Gerusalemme, le barriere fisiche e anche quelle invisibili, condiziona la vita di tutti. Chi conosce la vita lì sa che queste storie non hanno futuro“.
Le donne subiscono il cambiamento più profondo, entrambe reagiscono in un modo in cui la società non si aspetta. Sarah va contro le aspettative di un personaggio come lei: decide di rinunciare ai suoi privilegi. Bisan parte come personaggio innocente, poi diventa una madre e tutto cambia. Da ciò nasce la speranza: quella che le persone non pensino solo ai loro privilegi ma che prima o poi facciano ciò che ritengono moralmente e socialmente più accettabile”.
Gerusalemme è protagonista sotto diversi aspetti. Una parte della città è molto povera, ci sono campi per rifugiati, ha molti problemi economici e sociali. Nella parte ovest vive la borghesia, i ricchi. Anche la luce cambia tra est e ovest. I trasporti. Le aree verdi. Ho voluto mostrarlo attraverso le inquadrature, l’ho raccontato tramite la vita di questi personaggi. La città stessa mostra le differenze. E il razzismo spesso può prendere il sopravvento.
Il regista racconta anche che quando hanno girato a Gerusalemme ovest, sono stati insultati perché i residenti pensavano al solito documentario girato da europei contro di loro. “È arrivato anche l’esercito israeliano a chiederci cosa stessimo facendo e anche se avevamo tutti i permessi, stentavano a crederci. Non è stato facile! Secondo le leggi, se l’esercito israeliano vuole effettuare delle verifiche, l’esercito palestinese deve sottostare, sparire. Cosa che è successa a Betlemme. Ci hanno controllato tutto. Hanno sequestrato qualche attrezzo di scena. Ero preoccupato per i componenti europei della troupe. Se non ci avessero davvero creduto, sia la troupe che gli attori, niente sarebbe stato possibile”.
Infine una nota a margine. La distribuzione di questo film, da parte di Satine Film, sarà determinata anche dalla partecipazione del pubblico. Claudia Bedogni, la fondatrice della casa di distribuzione, crede fermamente nel cinema come strumento anche politico e sociale, non solo come intrattenimento. “Spesso – afferma – non ci si rende conto di quali e quante siano le difficoltà di una piccola casa di distribuzione indipendente come la nostra. Così come realizzare i film, anche distribuirli lo diventa. Se poi i colossi come Sky e Rai non ci aiutano ma ci fanno la guerra, questo tipo di film è destinato a sparire dai nostri schermi. Per favore, andate al cinema!”