“I confini uccidono. Dovremmo abolire i confini?” è il referendum su cui si sono espressi in dieci giorni i cittadini bolognesi. E se la maggioranza degli oltre duemila votanti concorda, 2.030 sì contro 489 no, la risposta rimane contenuta nella domanda, più che mai attuale e più che mai sospesa, formulata dopo tre partecipate assemblee cittadine attorno ai temi delle migrazioni, delle cittadinanze e del ruolo delle arti. Di questo si occupa infatto il progetto culturale europeo “Atlas of Transitions” in corso in sette Paesi e che a Bologna ha preso in questa edizione il tema-titolo “HOME“.
Curato da Piersandra Di Matteo (nella foto), drammaturga, teorica del teatro contemporaneo, il progetto italiano di Atlas of Transitions Biennale nasce con una forte matrice teatrale, realizzato da Emilia-Romagna Teatro Fondazione con il sostegno della Fondazione Nuovi Mecenati e con una larga rete di collaboratori cittadini. Già nel giugno scorso aveva caratterizzato la propria identità con una sensibilità particolare a temi contemporanei, antropologici e urbani, interrogandosi sul “diritto alla città”, in versione aggiornata rispetto alla formulazione anni Sessanta di Henri Lefebvre.
Ora è stato scelto il tema della “casa” e per dieci giorni gli abitanti di Bologna, le istituzioni, il volontariato, le comunità straniere hanno interagito con artiste, performer, coreografe, cantanti, attiviste provenienti dall’Africa sub-sahariana, Costa d’Avorio, Mali, Estonia, Ruanda, Siria, Palestina, Cuba, arrivate a loro volta non senza problemi nel superare i propri confini, tra visti e permessi.
Affrontando il tema della casa e del sentirsi a casa quello che si è andato cercando è stato soprattutto, spiega Di Matteo di “sperimentare nuove pratiche di relazione” e di andare verso “una cittadinanza affettiva”.
Il workshop di danza maliana con Fatoumata Bagayoko (Foto di UMS)
“Abbiamo voluto occuparci del tema delle arti e delle migrazioni calandolo nella materialità dei corpi, che significa occuparci delle relazioni di prossimità e di reciprocità – spiega ancora Di Matteo – guardando vicino, come viviamo, cosa significa abitare, coabitare, condividere lo stesso spazio o negoziare spazi di condivisione”. Parte del percorso sono state anche istituzioni come il Comune, la Regione, il MamBo, la Cineteca Lumiére, il centro interculturale Zonarelli.
Con Arena del Sole come soggetto forte di gestione, e l’intreccio con il festival teatrale VIE, non si è trattato di un progetto calato dall’alto con spettacoli da fruire, bensì di un programma con tanti tipi di performance e proposte che hanno previsto contaminazioni e partecipazione: laboratori, workshop, feste, un convegno internazionale, proiezioni, concerti, lezioni aperte, spettacoli in prima italiana, incontri con le artiste.
Durante i dieci giorni due azioni proposte dall’attivista e artista cubana Tania Bruguera hanno rappresentato il filo rosso.
Un primo progetto speciale è stata la School of Integration tenuta al DAMSLab, che Bruguera sperimenta anche in altri paesi, dove, in un rovesciamento di ruoli rispetto alle lezioni di integrazione impartite in Germania ai lavoratori stranieri, sono le comunità straniere che hanno tenuto lezioni sui propri paesi. Così la comunità palestinese ha spiegato il ricamo tradizionale, quella ucraina il rito delle uova, la senegalese le funzioni magiche del tamburo Mbalach e così via,alternandosi con film della Cineteca Lumière.
Secondo, l’azione artistica del referendum, “I confini uccidono. Dovremmo abolire i confini?”, accompagnata dagli interventi site-specific delle attiviste di CHEAP sulle bacheche civiche del Comune che hanno preso spunto dal manifesto di Tania Bruguera, Migrant International Movement: “il diritto di spostarci e il diritto di non essere obbligati a spostarci”, “la dignità non ha nazionalità”, “quando i diritti dei migranti sono negati, i diritti dei residenti sono a rischio”.
Venticinque seggi sparsi per la città e un tabellone aggiornato in tempo reale dopo lo spoglio, spot radiofonici, articoli di stampa, vivaci confronti.
“E’ stato molto interessante tutto il processo che ha portato alla definizione della domanda. – spiega Di Matteo – Non era scontato uno statement così deciso, ma anche ambiguo, con uno spazio di interpretazione molto ampia. Ci interessava suscitare il dibattito non solo affermare un principio”.
Il confine limita e connette, si legge nel testo di accompagnamento, esclude e pone le condizioni per l’inclusione. Ma il nostro tempo trasforma i confini in luoghi di conflittualità. La domanda resta dunque nel nostro presente.
Intanto si sono allargati, con questa occasione, i confini dentro i quali a volte ci si chiude per interessi, per quartieri, per nazionalità. E questo era il cuore del progetto, spiega ancora la curatrice, la sfida di creare “transizioni” tra il pubblico del teatro, le comunità straniere, le compagnie di danza de territorio, e così via.
Al workshop di danza maliana di Fatoumata Bagayoko, allo spettacolo di Dorothée Munyaneza sul genocidio in Ruanda, alla residenza di creazione con Kristina Norman sul lavoro domestico di donne provenienti dall’Est i percorsi, così come in tutti gli eventi di HOME, i racconti sono stati profusi, le domande si sono aperte, le storie si sono intrecciate.
La competenza principale per una manifestazione del genere? “E’ quella affettiva – conclude Piersandra Di Matteo – Per spostare l’ago della bilancia c’è bisogno di stabilire forme di empatia, bisogno di credere e di partecipare”.