“In Birmania non esiste democrazia, non ci sono diritti umani, controlli sanitari, i lavoratori sono trattati come bestie e il governo si arricchisce alle loro spalle”. A parlare è Stefano Rogliatti, regista di “Rice to love” un film documentario nato da un’idea di Coldiretti Piemonte, che fotografa la difficile situazione del paese asiatico, soffermandosi in particolare sulle coltivazioni di riso, in
larga parte destinato alle multinazionali estere. Per non dare nell’occhio il reporter torinese ha girato oltre dieci ore di filmato con una piccola mirrorless e un microfono lavalier, confondendosi tra i turisti.
“Rice to love” sara’ proiettato in anteprima nazionale il 16 gennaio, alle ore 20.30, al Cinema Massimo di Torino, con ingresso gratuito. Il documentario trae spunto da un dato eclatante. “Dal 2016
al 2018 in Europa – spiega Fabrizio Galliati, presidente di Coldiretti Torino – le importazioni di riso dalla Birmania sono aumentate oltre l’800 per cento. Sono nel 2018, da Birmania e Cambogia sono arrivati in Italia 22,5 milioni di chili di riso nonostante il nostro paese sia, in Europa, il primo produttore con 1,50 milioni di tonnellate pari a circa il 50% dell’intera produzione continentale. Si tratta pero’ di un riso che proviene da soprusi, violenze e sofferenze generate da interessi politici ed economici delle multinazionali. Da qui il desiderio di indagare e scoprire cosa stia avvenendo veramente in Birmania. Dal giusto mix tra la nostra curiosità’ e l’abilita’ del regista Stefano Rogliatti è nato “Rice to Love”, un filmato unico nel suo genere che denuncia la realtà dei Paesi che fanno concorrenza sleale al nostro riso italiano”.
Rogliatti e’ partito per la Thailandia lo scorso luglio e grazie a un “gancio” sul posto ha raggiunto il confine con la Birmania. “Fin da subito ho notato la massiccia presenza dell’esercito, che ha un potere enorme. Non e’ stato facile filmare gli agricoltori, controllati a vista dai caporali. Intere famiglie si svegliano all’alba per lavorare nelle risaie infestate dalle zanzare e come ricompensa ricevono soltanto sacchi di riso, appena sufficienti per garantire la sopravvivenza. Non possono vendere direttamente il prodotto, ma sono costretti a cederlo al governo, che lo offre alle multinazionali, attratte dall’assenza di dazi”. Il viaggio del regista torinese sarebbe dovuto durare un mese, ma si è interrotto in anticipo. “Negli ultimi giorni ho notato che qualcuno mi seguiva. Dopo essermi rifugiato all’interno di una moschea ho raggiunto l’ostello, ho preso le mie cose e sono corso all’aeroporto. Qualcuno ha capito che non ero un semplice turista”.