Sola sul palco, in un piccolo giardino, indossa delle parrucche che sembrano dei pupazzi di ciniglia. Scenografia pop per “Eva, diario di una costola”, lo spettacolo che Rita Pelusio ha portato in scena al Brancaccino dal 10 al 13 gennaio. Dopo il successo di “Suonata” e “Pianto tutto”, è il turno di un incredibile e ironico one-woman show che fa riflettere e ridere. «E’ un lavoro sulla disobbedienza femminile e una critica forte a come la religione vede le donne», confessa l’attrice milanese a TheSpotNews mentre ci parla delle sue Eve battagliere, moderne e multitasking donne che lottano, anche a teatro.
Come nasce l’idea dello spettacolo?
Da una riflessione letteraria, dopo aver letto il “Diario di Eva” di Marc Twain. Ho iniziato a scrivere il testo, partendo da una frase che mi ha accompagnato da quando sono piccola: “Il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela, no quel giorno nacque la disobbedienza”. Ed è stato il motore di tutto. Ho voluto affrontare temi al femminile in modo più leggero.
E’ un diario che inizia dalla voce di Eva primordiale e poi ci sono otto figure femminili sul palco che sono Eve contemporanee…
Sì, ci sono dall’adolescente che chiede delle regole da infrangere, alla madre che riflette su quanto sia difficile far nascere un uomo e non un maschio. Dalla donna in carriera piegata dal lavoro che è contemporaneamente moglie, amante, e tanto altro a un’Eva più “stupida” con una critica all’uso del corpo femminile in tv e in pubblicità. E ancora la donna perfetta, ma solo esternamente perché dentro è tristissima, la prostituta che rivendica la sua sessualità libera e liberata, una suora e un’anziana di novanta anni che non si è arresa, ma è piena di vita.
Qual è la tua Eva preferita?
La “vecchia” che rivendica la vita. La amo.
La donna nell’immaginario collettivo è stata spesso vista come bambola sexy, sta cambiando questa visione stereotipata?
No, purtroppo è ancora così. Le ragazzine di diciassette anni chiedono di rifarsi le labbra o il seno e vivono la bellezza come un’ossessione. Non accettano il proprio corpo. L’anoressia sta aumentando a dismisura. Da una parte la responsabilità è dei genitori ma dall’altro è anche frutto di un immaginario che non stiamo abbattendo. Poi ci sono figure femminili che hanno fortunatamente un pensiero critico.
Nonostante i movimenti di emancipazione come il #Meeto e Dissenso Comune, la condizione femminile non evolve?
Ci sono tanto impegno civile e interventi nelle scuole che spiegano e rivendicano cosa vuol dire essere donne. Nelle aziende partono progetti di parità di genere. Ci sono movimenti che si stanno impegnando, ma c’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto contro la violenza perché comunque le donne in Italia sono ancora uccise una ogni due giorni.
Hai portato in scena nella tua recente apparizione a “La tv delle ragazze” un monologo sul maschio, secondo te non si sente all’altezza di avere una donna forte accanto?
Sì, c’è anche questo. La donna genera vita, questo ci avvicina al divino e per l’uomo c’è sempre stato il bisogno di dominare. Poi in questi ultimi anni di forte crisi sociale, economica e del lavoro c’è un aumento della violenza, dei giochi di potere e di ruolo. Poche donne nei posti di prestigio, vengono mobbizzate e stolkerizzate.
Hai recitato anche in “Ferite a morte”, spettacolo scritto e diretto da Serena Dandini con Lella Costa che testimonia la lotta contro la violenza sulle donne con monologhi sul femminicidio.
Non tutti gli uomini sono delle bestie ma ce ne sono ancora troppi. E’ stato un percorso importantissimo incontrare le associazioni di donne che lavorano contro la violenza e vedere tanti uomini assistere allo spettacolo e rimanerne colpiti.
Hai studiato anche clown e mimo, perché hai scelto la comicità piuttosto che la prosa?
In realtà mi sono formata in Accademia come attrice drammatica. Vivevo in una comune a Bologna, dove si studiava il metodo di Etienne Decroux (attore teatrale e mimo francese, ndr) che è espressione corporea, e praticavo teatro di strada. Ho conosciuto il clown teatrale francese, Jean Méningue e mi si è aperto il mondo della comicità europea che nel ‘95 in Italia era solo una parola. Ho studiato e ancora oggi continuo la mia formazione all’estero.
Ti è mai successo di sentirti discriminata rispetto ai colleghi maschi?
Certo. In televisione è così. Ti dicono subito che le donne non fanno ridere. Io sono cresciuta con “La Tv delle ragazze” e mi sono emozionata tantissimo a essere lì. Era necessario ritornare. In tutti i programmi che ho fatto siamo discriminate. Ci sono ancora molti pregiudizi sulle donne. Tutti i capi progetti sono maschi e ridono se fai la loro stessa ironia.
Chi stabilisce che la donna non possa avere la stessa forza comica di un uomo?
La comicità è fatta di gusti. Ci sono attori comici che fanno ridere un sacco di persone e altri meno. Basta vedere anche la differenza tra la comicità fiorentina, romana o napoletana.
E se dovessi consigliare a una giovane attrice che vuole fare cabaret?
Di studiare all’estero e iscriversi alla scuola di teatro Jacques Lecoq a Parigi.
Cosa non deve mai mancare quando si sale sul palco?
Ancora oggi quando vado in scena ho paura. Non devi mai sentirti arrivata e mollare il colpo. E poi il rispetto assoluto per il pubblico.
Come costruisci un personaggio da portare in uno show? Cosa t’ispira?
Parto da spunti narrativi che mi danno delle suggestioni. Leggo, studio e poi mi viene un’idea. Cerco di capire il punto di vista. Per “Urlando Furiosa”, l’ultimo spettacolo che sto portando in tour per l’Italia fino ad aprile, sono partita da un’immagine forte: perché non riesco più a essere paladina? Abbiamo preso tutti i riferimenti semantici de “L’Orlando Furioso” di Ariosto e poi li abbiamo portati nel contemporaneo.
“Le donne mi hanno sempre sorpreso, sono forti. Ho ancora speranza nel cuore e nell’avvenire”, ha detto Monica Vitti. Hanno più capacità di resistere?
Assolutamente sì. Oggi la nuova parola che va di moda è resilienza. Noi abbiamo più forza e capacità di resistere. Lo vedo con tutte le donne con cui lavoro c’è sempre un atteggiamento più stoico nell’andare avanti, mentre gli uomini potrebbero mollare prima.
Il teatro al femminile potrà migliorare in questo contesto ancora così maschilista?
Sì, ci credo molto. Tutti gli spettacoli di donne che vedo sono bellissimi. Spero in futuro che ci sia meno pregiudizio.