La Ferrante fever è un’epidemia che ormai ha contagiato anche il pubblico televisivo, anche quello che della tetralogia non ha letto che il titolo sulla coda della miniserie firmata da Saverio Costanzo, andata in onda su RaiUno. Targata Hbo-Rai Fiction e TimVision, la trasposizione filmica de L’amica geniale era predestinata al successo. Lo si era capito alla 75esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica a Venezia: la presentazione fuori concorso dei primi due episodi era stata accolta con trasporto. Entusiasmo poi rivitalizzato con tre giorni di anteprime nelle sale a grande schermo, lo scorso ottobre. Un prodotto ben confezionato: attese ed aspettative nutrite con sapienza ed una seconda stagione già annunciata, in preparazione dal prossimo marzo. Durante e dopo la messa in onda delle otto puntate, fedeli episodi che raccontano storie, relazioni, trasformazioni di Lila ed Elena, dei mondi che attraversano, i media non hanno risparmiato inchiostro a plauso di produzione e regia, poche le garbate voci critiche. Una vera cornucopia di parole a contorno dell’aggettivo ‘geniale’; uno dei più usati sui social, tra meme e post entusiasti.
L’amica geniale di fatto non è più solo un caso letterario. Al di là dei volti e delle interpretazioni di giovani attrici, perfette nel prestito dei caratteri alle eroine, L’amica geniale è un brand, un marchio da spendere. A Napoli, l’esordio in televisione, è stato anticipato di qualche ora dal primo tour letterario , con una promozione scontata, ‘Napoli città geniale’, a bordo del City Sightseeing. Un percorso offerto ai turisti, stranieri e non, che promette di ‘toccare’ i luoghi narrati nella tetralogia, raccontandoli con le parole della scrittrice. Un progetto smart, di quelli che vengono citati da blogger brillanti e che trasformano tutti in antropologi, per un paio di ore, per poter gustare l’esotismo che ti aspetti e che meglio si vende se infarcito di ‘contrasto stridente tra squallore del rione Luzzati con la Napoli patinata.’ Qualcuno così ha scritto: è il destino di tutte le periferie rispetto ai centri patinati.
Le periferie sono i luoghi dove si allevano fantasmi e si allenano i più ‘cattivi’; il bello per il ‘buono’ è sempre al di là di un perimetro. E così la miseria umana, con la sua compagna povertà, che a narrarle o a denunciarle fanno le fortune di molti, si fanno sempre squallore per chi non ci vive nella quotidianità di un luogo, nonostante esso respiri al di là della Ferrante, dei suoi estimatori, del marketing e di un’immagine cristallizzata in prosa. Il rione Luzzati, sconosciuto ai più, o quasi, esiste e non è un luogo inventato. Ha una storia pulsante, complessa, spezzata, che non ti aspetti, da doverci fare i conti e la Ferrante non è la sola. Certo è lì che l’autrice intreccia storie, maschera aneddoti, sfigura memorie, per trascendere e sublimare. Ma che sia un incanto o un maleficio a legare la Ferrante al rione Luzzati, da L’amore molesto a L’amica geniale, per chi ci vive ha poca importanza, o meglio, ne ha: tutto dipende dal passo del ‘forestiero’ che varca il perimetro e trasforma lo spazio in meta di pellegrinaggio o cerca poetica.
C’è differenza tra un’invasione che punta il dito dal rigo al cielo prima di scattare una foto ricordo ed il cammino dei viaggiatori discreti. Quest’ultimo ha il ritmo dell’incespicare nel dettaglio, bussa alle porte, incrocia sguardi, fugaci a volte, incuriositi e partecipi altre. La gente del rione Luzzati osserva gli uni e gli altri, sa distinguerli, pur se indecisa tra la sorpresa e l’indispettito per una celebrità inattesa che però fa strage di bellezza custodita nelle memorie degli anziani. Lo scempio della bellezza, sotto il trucco pesante della periferia che si vuole miserabile, sarebbe continuato se non fosse che la resilienza abiti presso quelle palazzine ordinate oltre i cancelli e si trascriva in prosa o poesia: parafrasando altre leggende, là c’è un’umanità milionaria.
Maurizio Pagano e Francesco Russo sono gli autori di I luoghi dell’amica geniale. A differenza di altre produzioni che al brand della Ferrante si ispirano, il libro è un dono misurato alla gente del rione e alla storia dello stesso. È una messa in trama di suggestioni, nella prima parte, ma nello stesso tempo è narrazione di vissuti in un gioco di sovrapposizioni e specchiamenti nella voce di chi il rione lo conosce bene e lo ricorda. Lila e Lenù sono lontane, sono ombre nutrite di quelle stesse storie, ma al centro della narrazione dei due giovani scrittori ce n’è una sola di donna, ‘la smemorata’, una forestiera con solo due fotografie in tasca a cui affidare la speranza del riscatto della propria identità e del proprio passato. Alla fine non scopriamo come la misteriosa donna sia stata ‘espulsa’ da quell’intrigo di strade e storia: se per ribellione e rigetto della sua mente, se per disgrazia o per destino. Conta che con la sapienza dell’anziano Don Roberto, la storia del quartiere torni a parlare di dignità, di una fisionomia e di un’architettura stravolta dai bombardamenti ed abbandonata in detriti, di una piccola e media borghesia che popolava geometrie ordinate appena dopo la liberazione, oltre l’inganno del boom economico, prima che qualcosa intimidisse pure la natura.
Al cancello 49, numero civico 22, al piano terra, in una di quelle palazzine, sono nati sia Pagano che Russo, a distanza di un lustro. I due scrittori in quelle strade ci sono cresciuti in sogni e in scrittura. Li abbiamo raggiunti a telefono e li ringraziamo del tempo che ci hanno dedicato.
ITC: Quando è nata l’idea di scrivere I luoghi dell’amica geniale?
MP&FR: L’idea di scrivere un libro insieme parte da lontano. Leggendo i libri di Elena Ferrante, anni fa, ci scambiavamo spesso impressioni. Per noi non era leggere un libro qualsiasi. Potevamo sentire i profumi, gli odori della nostra infanzia. Abbiamo rivissuto ricordi, i giochi fatti da bambini. Anche noi abbiamo giocato sugli stretti davanzali delle aperture di aereazione degli scantinati. Ci abbiamo perso molte macchinine, inghiottite da quel buio. Il nostro progetto nasce così, dal riconoscere luoghi e personaggi che ripetono cose fatte da persone reali, abitanti del rione. Un esempio su tutti quello di Nunzia Gatta. Da bambina, come Lila, aveva fatto la tessera a tutti i membri della sua famiglia per poter prendere più libri nella biblioteca del professor Ferraro, quella che nella realtà fu del prof. Collina, la Andreoli. Nunzia Gatta, oggi settantottenne, è stata una delle prime ragazze a laurearsi negli anni ’60. Amava studiare e solo grazie alla sua tenacia e all’aiuto di suo fratello poté continuare gli studi, osteggiati fortemente dalla famiglia. Ma la signora Gatta, da bambina, era anche una che scendeva in strada per fare la ‘uainella’, la guerra con le pietre, per mettere a posto i maschi. Insomma, un po’ Lina e un po’ Lenù. Al di là delle trasposizioni, ci sono dettagli che noi abbiamo colto perché conosciamo i personaggi reali: il professor Collina, per esempio, metteva il cappotto sulle spalle, proprio come fa il professor Ferraro nella serie. Nonostante la chiesa non sia centrale nella trasposizione filmica, il prete compare accanto al professor Ferraro per la premiazione. Il prete ed il prof. Collina, nella realtà, sono stati i primi, se vuoi, a realizzare una sorta di crowdfunding. Andavano a chiedere i soldi ai commercianti per comprare i libri e metterli a disposizione di tutti nella biblioteca. Mantenevano vivo l’interesse per la cultura nel rione, cercando di coinvolgere tutti gli strati della popolazione. Questo aspetto non viene messo in evidenza nel racconto della Ferrante. Per noi è fondamentale fare questa distinzione tra romanzo e realtà storico sociale. La scrittura necessita di invenzione, i personaggi però sono riconoscibili e ci siamo sentiti coinvolti, in dovere di sopperire alle ‘mancanze’ della Ferrante. Il libro inizialmente lo avevamo concepito solo nella sua prima parte, quella narrativa con l’innesto di descrizioni storiografiche. Il lavoro di ricerca ci ha poi convinto della necessità di una seconda parte esclusivamente dedicata alla mappatura dei luoghi e dei fatti storici che accompagnano l’evoluzione del rione ed il cambiamento di fisionomia del quartiere. Lo abbiamo tradotto anche in inglese ed è disponibile in cartaceo oltre che in digitale, per soddisfare le molte richieste che ci vengono da turisti stranieri.
ITC: Come hanno reagito gli abitanti del rione all’improvvisa notorietà?
MP&FR: Gli abitanti del rione non hanno reagito bene. Va detto che con la pubblicazione del libro della Ferrante non si erano registrati grossi cambiamenti. Le cose sono mutate quando i media hanno cominciato ad attirare l’attenzione sul rione e con la serie trasmessa in televisione. Non da ultimo il nostro lavoro. All’inizio c’era incredulità. La gente si chiedeva perché mai gli stranieri venissero a visitare il rione. Del nostro libro e delle nostre attività di guida sono contenti, mentre la serie televisiva li ha lasciati spiazzati. Ambientata negli anni ’50, hanno reagito non positivamente a quell’immagine di povertà e violenza che permea tutto, oltre la miserabilità dei caratteri. Anche per questo abbiamo voluto esprimerci come voci alternative, compiendo una sorta di intermediazione letteraria. Porre noi l’accento su quel ceto medio che pure ha abitato e abita questo luogo. Insomma è accaduto un po’ come con Gomorra: è più facile costruire una sceneggiatura con la presenza prepotente dei Solara, come già si è visto con i Savastano in Gomorra. La Ferrante ha raccontato uno spaccato dell’Italia che cambiava trasferendo tutti i caratteri in un unico quartiere, proprio come furono portate qui tutte le macerie di Napoli, dopo i bombardamenti: in un solo luogo tutti i fantasmi di una società che cambiava. È questa operazione che la gente non ha accolto con piacere. Il ricordo di quegli anni è ancora vivo. Il rione Luzzati era un rione rispettabile dove ci voleva il foglio di buona condotta per abitarci.
ITC: In cosa consiste esattamente il lavoro di guide che svolgete? Al di là del vostro libro e delle ‘visite guidate come pensate che questa attività possa coinvolgere il rione in un percorso partecipato di rivitalizzazione dello stesso?
MP&FR: Durante le nostre visite guidate non ci soffermiamo solo sui luoghi ‘famosi’, facilmente riconoscibili. Chi non è del posto non sa che alcuni luoghi sono spostati rispetto al racconto che la Ferrante ne fa; altri sono nascosti tra le parole. I giardinetti che cita, per esempio, sono in realtà lo sterrato creato dopo l’abbattimento della scuola 28 Ottobre. Chi si rivolge a noi, parla prima di tutto con due scrittori che il posto lo conoscono e così la gente del rione con la quale si intrattiene. I momenti di condivisione sono molti ed inoltre sappiamo gestire obiezioni là dove dovessero essercene. Abbiamo però cercato di dare una nostra impronta originale al percorso guidato. Non siamo ‘noi’, né Lila o Lenù, a parlare dei luoghi dell’amica geniale bensì il nostro personaggio, la ‘donna forestiera che non ricorda il suo passato e un giorno arriva nel rione. Dall’incontro con Don Roberto, attraverso i suoi ricordi, inizia il nostro viaggio. A sostenerci in questo progetto c’è Rosa Cuccurullo, vicepresidente dell’associazione culturale, Noi professionisti. Fondamentale è anche il coinvolgimento della Biblioteca Andreoli. La prima iniziativa è stata fatta in collaborazione con la IV municipalità e la Biblioteca stessa. Non abbiamo una programmazione settimanale, ma rispondiamo alle richieste, soprattutto di stranieri, che vengono fatte sui nostri canali social, in particolare la pagina Facebook dedicata. Fin dall’inizio abbiamo pensato che il nostro progetto dovesse andare oltre il libro di cui siamo autori e oltre la Ferrante. Ci piace raccontare restituire il volto del rione e riempire vuoti di conoscenza. Raccontiamo di posti ed edifici che ormai non ci sono più o che sono stati sfigurati o abbandonati. Per noi è non solo un atto dovuto ma anche un voler smuovere le coscienze. Un modo per dire, ecco ora non siamo soli, siamo sotto i riflettori, ci guardano. E quindi bussare alle porte delle istituzioni e dire la stessa cosa, ci vedete? Intervenite e aiutateci a renderlo più vivibile. Pensiamo che questo movimento possa restituirci, lo speriamo, anche il vecchio cinema Rivoli, farlo rinascere per ricreare un altro centro di vita culturale che apparteneva al rione.
ITC: Quali sono i vostri futuri progetti editoriali?
MP: Da poco ho terminato la prima stesura di un libro, La ragione del cuore. Rispetto al progetto I luogi dell’amica geniale, invece, il passo successivo sarà andare oltre il rione Luzzati nella sua dimensione storiografica e sociale; sviluppare quindi la traccia narrativa della storia in maniera del tutto originale, che è poi ciò che faccio con i personaggi che popolano le mie storie. Roberto Fedele, che compare ne I luoghi dell’amica geniale, è un personaggio già presente nei miei libri, sia in A quei tempi, sia in Le stagioni di un giorno
FR: Pochi giorni fa è uscito il mio ultimo libro, Il canto delle sirene. Questa volta si tratta di un libro auto-prodotto per scelta. Il libro è una favola che narra di una città e del suo riscatto. Pur se trasfigurata, parla di Napoli, ma ho cercato di strutturare la storia conferendole un significato universale. Parlo di una città vessata da un gruppo di persone che incarnano il ‘male’, costringendo gli abitanti a nascondersi in un livello sotterraneo. Il riscatto ci sarà, ma pur trattandosi di una favola, il finale non è necessariamente consolatorio. La magia di cui scrivo nelle mie favole, è la magia del plausibile e del possibile nel reale.
[Foto di copertina di Sergio Pagano]